L´AQUILA E L´IMPERATORE di Pietro Pottino

Il nostro prezioso collaboratore Pietro Pottino ci regala un viaggio nel tempo, alla scoperta di secoli ancora bui, ma già illuminati da una nobile arte…

Grazie ancora…

I primi documenti storici risalgono a circa 3500 anni fa. Quindi è probabile che la falconeria sia cosa ancora più antica. C’è motivo di credere che inizi nelle steppe asiatiche con la caccia a vista.
La caccia a vista, cioè la partenza del rapace dal pugno del falconiere alla vista della preda, era la tecnica più usata e che sicuramente aveva (e ha) esiti positivi più frequenti. Da ciò che risulta, illustrazioni e dipinti, fu una caccia riservata ai grandi di un impero, quindi imperatori, re e insomma ad un “regime” nobiliare a quei tempi ricco e che, soprattutto, regnava in quasi tutte le parti del mondo.

Ne fecero praticamente una “cosa loro”, riservandosi vari tipi di uccelli che venivano distinti fra loro per bellezza e capacità, a seconda delle varie classi nobiliari cui erano destinati.
Un’aquila reale era riservata esclusivamente all’imperatore, il girifalco al Re, la femmina del pellegrino a conti e marchesi, il terzuolo, cioè il maschio del pellegrino (chiamato così perché è molto più piccolo della femmina), ai baroni, e cosi via fino ad arrivare ai monaci i quali usavano uccellare con lo splendido e micidiale sparviero.

La falconeria fu anche un mezzo di unione tra popoli. Federico II di Svevia la usò con gli Arabi dai quali importò in Europa tecniche nuove come il cappuccio che sostituiva, anche se non del tutto, la cigliatura (tecnica usata prima del cappuccio al fine di rendere tranquillo il rapace per un certo periodo e che consisteva nella chiusura delle palpebre mediante cucitura).
Egli, infatti, conquistò Gerusalemme senza nessuna guerra, ma solo grazie alle sue doti diplomatiche laddove, però, la falconeria ebbe un ruolo fondamentale. Il dono di rapaci, da un Re all’altro, da un impero ad un altro o, semplicemente, da un marchese ad un principe, era di altissimo valore.

Il sultano ottomano Bajesid I, dopo la battaglia di Nicopolis, liberò alcuni nobili francesi solo grazie al riscatto pagato con trenta girifalchi bianchi da Carlo VI.

Una cosa è certa: dopo tutti questi anni passati, del modo di “uccellare” è cambiato ben poco. Le tecniche di addestramento sono rimaste pressoché invariate.
Il cappuccio veniva chiamato “cappello di cuoio” ed è, per esempio, così descritto in alcuni scritti dell’inizio del XIV secolo: “Il cappello di cuoio si fa per tre ragioni: la prima è la superbia, la seconda per la volontà ch’egli ha di volare; la terza perché si dimestica più avaccio”.

Aquila del Bonelli - Sparacia

Anche il modo e i tempi idonei al dimagrimento di un falco risultano essenziali per far sì ch’egli, per la fame, sia portato a cibarsi dalla mano dell’uomo. “Dapoi ch’egli comincerà bene a guardare e a sentire, incontinente gli si vuol cominciare a sottrar lo pasto sì che dimagri a buon modo”.

Premesso che il peso del falco gioca un ruolo fondamentale nell’esito della caccia, considerando che prima non esistevano le bilance (oggi il falco va pesato giornalmente), bisognava osservare l’atteggiamento del rapace prima di andare a caccia: il falco pronto che vuole andare a caccia dimena le penne, ha uno sguardo attento e sbatte le ali, Ciò è cosi descritto: “Sempre quando un vuole andare a d uccellare, de’ guardare se’l falcone è di buona volontà, cioè se leva le penne, e mena l’ale, mostrando volontà di pigliare: chè se nol facesse, non v’è d’andare”.

Ciò che invece ai nostri giorni non è più usato (tranne che in spettacolo rievocativi) è l’abbigliamento.
I falconieri dell’imperatore Hohenstaufen indossavano diversi copricapo a seconda delle loro funzioni. Chi era responsabile del nutrimento portava una cuffia e risiedeva all’interno del palazzo, mentre portava un cappello a punta chi aveva il compito di maneggiarli.

Per capire quale importanza avesse la caccia per Re e Imperatori vari, a cominciare da Federico II di Hohenstaufen a Carlo Guglielmo Federico di Brandeburgo, margravio, che solo per la caccia spendeva il 10% del bilancio statale e si dice che dal 1730 al 1755 avesse catturato 34.429 prede, bisogna ammirare la sontuosità delle cosiddette tenute di caccia, meravigliosi palazzi, castelli epocali dove erano sempre associati padiglioni, come quello di Falkenlust (Piacere del Falcone) sito all’interno del Castello di Augustusburg o come il famoso Castello di Melfi, uno dei preferiti di Federico II dove, su una delle torri, echeggiava il cosiddetto “Nido dell’Aquila Imperiale”.

Dalla Domus di Gravina, tenuta di caccia dell’Imperatore Federico, egli faceva partire i suoi falchi che, “…per alterigia e superbia..- così scriveva Leonardo da Vinci – …vogliono signoreggiare e sopraffare tutti gli altri uccelli rapaci, compresa l’Aquila Reale”.
Ma quando uno dei suoi girifalchi preferiti, riuscì ad uccidere un’aquila, Federico ordinò di mozzargli la testa….l’Aquila era il simbolo dell’imperatore e non andava sfidata da nessuno!!

Considerando che nel medioevo il nobile veniva dal Re proclamato tale per le sue attitudini alla guerra e al valore dimostrato in battaglia e che la pratica venatoria era considerata un ludus, ma comunque attinente alla guerra vera e propria, i ragazzi fin da giovanissimi erano educati a tutto ciò, in modo da assimilare una severa morale guerriera.
La caccia si svolgeva in due tappe: la prima era l’inseguimento della preda, la seconda l’abbattimento che, spesso, veniva svolto dal sovrano in persona in combattimenti corpo a corpo, con armi da taglio di vario tipo contro bestie come orsi, lupi e cinghiali. Bisognava quindi che la mentalità del combattente facesse parte dell’individuo.

In tutto questo svolgersi delle cose non mancavano ferimenti e morti illustri, ma faceva parte del gioco. Anzi, il pericolo alimentava la voglia di caccia (furor).
Si dice che Ludovico il Pio preferiva cacciare in autunno quando i cinghiali, in amore, erano più aggressivi.
Avere nelle vene sangue reale significava, di per sé, essere prodi cacciatori.

Il passaggio da questa caccia, violenta e cruenta, a quella fatta col falco, presuppone una raffinatezza delle menti, oltre che evidentemente a una sorta di moda portata avanti da Federico, il quale la definisce Ars (nel senso di perfetta sintesi di conoscenza teorica e di abilità pratiche) come disciplina elaborata e complessa e, perciò, assolutamente riservata ai nobili e, fra ogni altra caccia, la più nobile.

Falco Sacro - Sparacia

Nel mondo arabo la falconeria, fin dall’VIII sec, veniva ampiamente praticata con falchi sacri e pellegrini per cacciare otarde, pernici e gazzelle (la gazzella del deserto, piccola ma velocissima), ma solo a scopo alimentare. Naturalmente presto divenne diletto di califfi e alti dignitari i quali appresero l’arte dai loro inservienti persiani, abilissimi nell’addestramento e nella cura dei rapaci.

Ovviamente questi animali si ammalavano anch’essi ogni tanto ed è sorprendente trovare in trattati del XIV secolo la descrizione delle cure, per esempio quando un rapace soffre di verminosi: “Quando lo sparviere ha’l male de’ mignatti, ovvero de lombrichi, togli il sugo delle foglie delle pesche, e togli il pasto recente, e bagnalo in quel sugo, e daglile a beccare quando si va a dormire; e pascilo così due volte; e così fie guarito”.

O per esempio quando il falcone aveva il bumblefoot, malattia temutissima fin dai tempi, che è una podermatite settica: “Il falcone ch’ha il male della podagra, così si vuole curare: Torrai il latte del totomaglio e la mascella del porco salata, e mescolala col latte: e poscia togli un pannolino ed ungilo con detto latte e midolla e poni il falcone in su questo panno: il qual panno si vuol porre in sul toppo dove’l falcone dee stare; e largalo stare in su quel panno per due dì; e’l terzo dì il lieva d’in sul panno, e bagna il panno coll’aceto forte, e laghera’vi su stare il falcone per due dì; e fie guarito”.

Considerando che ancor oggi non si è scoperta nessuna cura veramente efficace a questa bruttissima malattia, tutto sommato tentare………… non costa nulla!
Siate felici!

Pietro Pottino

Allevatore, addestratore e selezionatore Rapaci da Falconeria “Sparacia”
www.allevamentosparacia.com
rapax@neomedia.it

Sparacia


Bibliografia:
– Kurt G. Bluchel “La caccia
– Anna Laura Trombetti “De arte venandi cum avibus
– “Antiche scritture Toscane” (Università di California)