PICCOLA SELVAGGINA ABBATTUTA. COME TRATTARLA

Benelli SBE 3

Non è raro sentire cose curiose su quello che qualche cacciatore fa quando durante l’attività di caccia abbatte un capo di piccola selvaggina, volatile o piccolo mammifero. Di sicuro c’è che la scienza ci può indicare cosa avviene in un organismo a partire da un minuto dopo l’abbattimento. E il cacciatore deve sapere come comportarsi per gustarsi poi la prelibatezza.

Pur essendo in rapida e prepotente affermazione la caccia di selezione e quindi alla selvaggina di grande mole, non sono pochi coloro che dedicano parte o totalità della propria stagione venatoria alla caccia di piccola selvaggina impersonata da uccelli stanziali e migratori o da piccoli mammiferi che fanno capo ai lagomorfi.

La cattura di unno di questi capi occorre conoscenze sul dopo abbattimento che devono essere almeno pari a tutto il sapere che occorso per incarnierare la preda.

E’ utile sapere che nella fauna selvatica al momento della morte iniziano processi che si riflettono sia su aspetti sanitari sia sul valore di appetibilità delle carni. Conoscerli e saperli utilizzare al meglio, sapendo trattare a meglio la spoglia come fanno i selecontrollori, è quanto di più utile per continuare la giornata di caccia anche a tavola.

Per praticità di interpretazione è possibile suddividere la materia in brevi aree a tema così elencate:

  1. APPENA EFFETTUATO L’ABBATTIMENTO
  2. AL RITORNO A CASA
  3. LA LUNGA CONSERVAZIONE

 

APPENA EFFETTUATO L’ABBATTIMENTO

L’abbattimento di un capo di piccola selvaggina prevede sin da subito la valutazione del fattore temperatura. Questa valutazione è essenziale perché mentre un ungulato per la sua stessa mole ci mette molto di più ad arrivare in equilibrio con la temperatura ambientale, la piccola selvaggina si mette in equilibrio termico con l’ambiente esterno con più facilità. Il punto fermo da seguire è che la spoglia deve in qualche modo essere protetta dalla temperatura eccessiva, perché la stessa è causa accelerante di attività microbiche malevoli e da questi potenziali rischi devono essere comunque allontanate finché è possibile tutte le viscere.

piccola selvaggina consumarla abbattuta cacciaE’ questa in effetti la ragione della pratica storica della “starnatura” che consente di eviscerare il capo (sarebbe utile su tutti gli uccelli). C’è da dire di più anche l’apertura di un capo di piccolo mammifero – es. una lepre – e relativa eviscerazione anche se meno pratico da fare in aperta campagna è una tecnica assolutamente da prendere in considerazione. E la starnatura o la eviscerazione di una lepre raggiunge anche l’effetto di mettere i tessuti in contatto con l’esterno garantendo l’eliminazione di massa organica che sino a pochi attimi prima ha avuto la temperatura naturale dell’organismo vitale.

Ora l’abbattimento di capo di piccola selvaggina può essere effettuato in una situazione anche torrida quale quella della preapertura o dell’apertura ed in questo caso, è difficile pensare che si possa trovare il modo di raffreddarla se si fa la caccia vagante. Ma se invece si fa la caccia da appostamento, lo stesso frigorifero o borsa termica che abitualmente portiamo per i nostri cibi, una volta svuotato da essi può essere utilmente utilizzato per la selvaggina avvolta in una busta di carta.

Certo è che con temperature invernali il problema si contiene con grande efficacia e la starnatura o la eviscerazione sortiscono bene il loro effetto positivo.

 

AL RITORNO A CASA PER IL CONSUMO A BREVE PERIODO

Dopo aver sistemato a dovere il cane se nostro compagno di caccia e sicuramente prima della pulizia del fucile occorre pensare alla selvaggina che abbiamo catturato. Il ragionamento da fare è tra quanto consumeremo la selvaggina. Se intendiamo farlo di li a pochi giorni il ragionamento prenderà una strada se lo faremo tra molto tempo, useremo metodi diversi. Non dimentichiamo che la tradizione qui non ci viene in aiuto, sia perché ai tempi del nonno non esistevano i surgelatori sia perché la cattura di una preda e quindi la disponibilità della carne su certe mense, la vedeva subito protagonista in cucina.

Se intendiamo cucinare la selvaggina abbattuta a stretto giro, la temperatura del frigorifero per 3/5 giorni è l’ideale. Blocca i processi degenerativi consentendo un azione di frollatura, processo biochimico utilissimo al miglioramento gustativo delle carni.

E’ importante sapere che questa conservazione in frigo di 3/5 giorni è utile realizzala con pelo o piume intatte. La ragione anche qui è puramente biochimica. Se non protetti da tali tessuti i lipidi (ossia i grassi) esposti all’atmosfera iniziano un processo degradativo tipico – ossia l’irrancidimento – facendo scadere la qualità organolettica delle carni.

 

AL RITORNO A CASA PER IL CONSUMO A LUNGO PERIODO

Taluni dicono che effettuano il surgelamento della selvaggina. Questo non è vero perché la surgelazione è pratica tipicamente industriale che porta la temperatura dei corpi a – 18 °c in maniera volto veloce, riducendo al minimo la dimensione dei cristalli di ghiaccio che si formano che di fatto non danneggiano la struttura delle.

In realtà tutti noi a casa realizziamo il congelamento che porta le temperature dei corpi a -10, -14 °e con tempi che durano alcune ore. Ciò comporta di fatto la creazione di cristalli più grandi che lacerano e danneggiano i tessuti. Questo effetto, magari non necessario nelle carni di selvatici giovani, risulta di fatto utile se non esagerato nelle carni di animali adulte che notoriamente sono più toste.

Il processo di conservazione più logico (ce comunque non dovrebbe superare i 3 mesi) è quello di farlo con le carni ricoperte di piume o pelo anche se la fase di irrancidimento dei lipidi alle temperature del congelamento risultano arrestate. La dove è possibile, la massa dovrebbe essere la più ridotta possibile e proprio per questo, dato che utilizzeremo buste (e il sottovuoto sarebbe auspicabile) sarebbe opportuno per la piccola migratoria metterne pochi (es. 3-4 tordi) non esagerando con la bustata per la semplice ragione che la massa ci metterebbe più tempo a raggiungere la temperatura definitiva e permetterebbe l’innesco di qualche processo degradativo.

 

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