CIRNECO DELL’ETNA

Le Origini

Il Cirneco dell’Etna è un cane singolare, la cui storia e il cui modo di cacciare non sono facilmente ascrivibili alla magra definizione che lo relega tra i cani del Gruppo 5, di tipo “primitivo”. Tale accezione va, in effetti, un po’ stretta a questo animale dalle linee perfette ma, vista alla luce della sua evoluzione, sta forse a significare che, in esso, sono stati più la natura, l’ambiente e le sue prede a plasmarlo nel carattere e nelle forme, piuttosto che l’esasperata ricerca del bello e bravo che l’uomo ha effettuato su altre razze. Le origini, ancora oggi parzialmente discusse, sono comunque incontestabilmente antiche, antichissime.

Alcuni studiosi, forse in modo un po’ troppo campanilistico, ne ipotizzano l’origine esclusiva in terra sicula, sulla base di un reperto scheletrico ritrovato lungo il corso del fiume Simeto, vicino Paternò, e risalente a circa 1500 anni a.C. Lo scheletro, un cane di circa 45 cm di altezza, con un aspetto molto simile al Cirneco, avrebbe indotto a valorizzare le sue origini italiche autoctone, ma mancano ulteriori reperti o testimonianze.

caccia infiera cirneco dell´etna

Ipotesi più accreditate sono invece quelle che ne vedono la nascita nel bacino del Mediterraneo, probabilmente in terra d’Egitto. Le ricerche di illustri studiosi, quali Bellin e Keller, proverebbero l’esistenza di un progenitore comune a tutti i levrieri, il Lupo Abissino, diffusosi, alcuni millenni fa, in tutta l´Africa settentrionale. Esso, e i cani che ne derivarono, s’incrociarono quasi sicuramente con i cani levrieroidi che gli Assiri, fra il Tigri e l’Eufrate, utilizzavano per la caccia, e che arrivarono in Egitto al seguito degli Hyksos, il popolo battagliero che lo invase e lo conquistò attorno al 1750 a.C.

Queste genti necessitavano di squadre di cacciatori abili a sfamare le truppe in movimento e che recassero con sé tali cani come ausiliari. Mentre nei secoli le invasioni di popoli dominatori si susseguivano, i cani importati si amalgamavano con quelli locali, dando origine a dei soggetti non solo molto veloci e resistenti nell’inseguimento della preda, ma anche in grado di cercare e scovare attivamente la selvaggina; più piccoli e adatti alle prede locali, da cacciare in luoghi più ristretti. Attorno al 1000 a. C., numerosi soggetti seguirono il popolo fenicio nelle sue rotte commerciali oltre il Mediterraneo, divenendo essi stessi prezioso oggetto di scambio.

Così, mentre alcuni popoli nomadi condussero questi levrieri fino, ed oltre, il Mar Nero, permettendo l’origine del Borzoi, i Fenici diffusero questi soggetti in tutti i Paesi bagnati dal Mediterraneo e non solo, raggiungendo anche l’isola britannica. Questi antichi cani, giunti nelle nuove terre, non tardarono ad incrociarsi con i soggetti autoctoni e, nel tempo, a dare vita ad una progenie che, pur mantenendo le caratteristiche originali peculiari, ben si adattava ai nuovi climi, alle nuove prede, alle nuove esigenze dei popoli indigeni. Si delinearono così i progenitori di razze quali il Podenco Ibicenco ad Ibiza, il Podengo Portoghese nella penisola iberica, il Cane dei Faraoni nelle Baleari e lo Charnigue in Francia. Dagli scali della Cirenaica, circa duemilacinquecento anni fa, i Fenici sbarcarono anche a Malta e in Sicilia, dove, si presume, i cani che conducevano al seguito venivano appellati “kirenaicos” cioè di origine cirenaica.

caccia infiera cirneco dell´etna

E Cirneco fu il nome che assunsero. La Sicilia adottò questo all’ombra del suo vulcano, trasformandolo in un figlio proprio, selezionato da una natura aspra che nella “sciara” di origine lavica vede la sua più affascinante e dura espressione. La Sicilia e i suoi abitanti amarono questo cane, duttile e volenteroso nella cerca e nella seguita di prede preziose come i conigli, a tal punto da raffigurarlo in antichissime monete provenienti da Segesta, Erice, Mozia, Panormos, Selinunte, e ancora da Siracusa, Camarina, Messina; o a volerlo rappresentato negli splendidi mosaici della Villa Romana del Casale, di età imperiale, situata a Piazza Armerina, ad Enna, nel cuore della Sicilia. Ancora, tra il 175 e il 235 d.C., nelle opere letterarie di Eliano, si narra che il Tempio di Adrano, ai piedi dell’Etna, era protetto da 1000 cirnechi sacri, in grado di distinguere le intenzioni sacrileghe dei ladri e di accogliere festosi i fedeli.

Molti furono poi i nomi di coloro che, affascinati da questo piccolo cane dal grande carisma e dalla magnetica bellezza, ne protessero i caratteri e ne mantennero vivo l’interesse nel corso dei secoli, da Andrea Cirino col “De Natura et solertia canum” del 1653, al catanese Giuseppe Galvagni con “Fauna Etnea” del 1848, alla nobildonna siciliana Donna Agata Paternò-Castello di Carcaci la quale, nel 1951, fondò la Società Amatori del Cirneco.

Nonostante la passione di numerosi amatori, il Cirneco ad oggi, pur entrato da decenni a far ufficialmente parte della rosa delle razze italiane, e con il riconoscimento, nel 2007, da parte del Kennel Club Internazionale, trova difficoltà nel travalicare i confini dell’isola che lo ha plasmato e in cui i suoi caratteri si sono fissati, forse a causa della sua estrema specializzazione venatoria in terra sicula, in quella sciara tagliente che solo lui sa affrontare e vincere.

Caratteristiche generali

Il Cirneco dell’Etna, pur cugino stretto di tutti i levrieri ad orecchie erette, non presenta zampe altrettanto lunghe che gli consentano di raggiungere velocità estremamente spiccate. Nonostante ciò e, forse a dispetto di ciò, accanto ad una buona velocità sul campo, tale da raggiungere anche i 40-45 km/h, esso, pur nella sua leggerezza, è un cane di media piccola taglia estremamente robusto e resistente alla fatica, in grado di correre per ore sulla sciara tagliente e infuocata, sotto il sole siciliano di mezzogiorno.

I suoi piccoli piedi, la sua nevrile struttura atletica, gli consentono vere e proprie evoluzioni sulla roccia lavica, all’inseguimento delle piccole prede. E’ un animale affascinante ed elegante, non schiavo però dell’armonia delle sue forme, ma sprizzante vitalità e vigore. E’ un cane costruito nel quadrato, con petto abbastanza stretto e dorso rettilineo.

E’ ricoperto di pelo sottile, lungo da 2 a 3 cm a seconda delle zone del corpo, spesso, ma non sempre, fulvo e uniforme e, in ogni caso, molto fitto e aderente alla cute, indiscutibilmente protettivo nei confronti di rovi o arbusti che potrebbe incontrare in battuta. La testa del Cirneco sembra un antico ritratto egizio, tanto ricorda nelle forme Anubi, l’arcaica divinità-sciacallo di quella terra: muso appuntito con narici grandi, stop appena rilevabile, occhi piccoli ed estremamente vivaci, orecchie enormi ed erette, inserite alte, rivolte in avanti e sempre tese a qualunque minimo indizio della preda. Sono generalmente cani piuttosto longevi. Per quanto riguarda la vocazione venatoria del Cirneco, nonostante alcuni lo utilizzino su vari tipi di selvatico, è prettamente quella legata alla caccia al coniglio selvatico, caratteristica della sciara siciliana, la distesa lavica vecchia e nuova sui fianchi del vulcano. Difficilmente classificabile a livello venatorio, il Cirneco esprime ancora un modo primitivo e unico di cacciare: né segugio, né cane da cerca, né cane da ferma, in realtà lo è tutte tre, a suo modo e con l’ausilio del furetto.

Certo è che la vigoria e la resistenza che esprime nella battuta sono impressionanti, soprattutto perché in grado di correre per ore senza che il caldo estremo della nera terra arroventata né limiti l’impeto. Esso può cacciare conigli su qualunque terreno, ma la caratteristica terra etnea, dagli ampi spazi e, talvolta, cespugliosa, rappresenta per lui il luogo ideale. La sua è una cerca attenta e puntigliosa, in cui si alternano il passo piuttosto veloce, il trotto e il galoppo, sempre caratterizzati da estrema abilità e con naso radente al terreno, per cogliere l’usta sulla pista e non nel vento.

Indubbio, in ogni caso, che sia la vista, sia l’udito delle grandi orecchie, fungano da coprotagonisti nella battuta. La coda, in cerca, viene di solito mantenuta ad arco dorsale. La sua è una caccia silenziosa e metodica, fintanto che non si trova in prossimità del selvatico, finalizzata a dipanare con pazienza tutto il groviglio di tracce che più conigli, mossisi sullo stesso terreno, possono aver lasciato. Questo tipo di traccia così ragionata, metodica e raffinata, è molto apprezzata dagli amanti di questo cane, perché frutto di un lavoro paziente dell’ausiliare.

Essa, dai veri “cunigghiari” (così sono chiamati i cacciatori di conigli in Sicilia) viene definita di “maniù” (cioè d’emanazione) e risulta più lenta e di meno impeto rispetto a quella definita “d’assalto”, caratteristica cioè di quei Cirnechi dall’olfatto eccezionale che non necessitano di dipanare le piste, ma raggiungono rapidamente e d’impeto il “forte”, cioè la tana del coniglio, anche a costo di addentare e strappare i rovi e i cespugli che lo separano dalla preda. Che sia di maniù o d’assalto, in ogni caso il Cirneco, individuata l’usta del selvatico, si trasforma in un cane da seguita, il quale, naso attaccato a terra, raggiunge più o meno rapidamente la preda, aumentando velocemente i ritmi dei suoi movimenti che diventano frenetici e cominciando anche ad uggiolare o a scagnare in maniera acuta, ma dolce.

Talvolta riescono a spingere il selvatico verso il cacciatore, mentre altre volte sono costretti ad inseguirlo fintanto che esso penetra in un cunicolo e lì, impotenti, cominciano ad abbaiare, abbandonandosi a scavi frenetici, intercalati da gemiti e sbuffi. Talvolta, pur se non è loro richiesto nelle prove, alcuni Cirnechi effettuano anche delle specie di ferme, in grado di sostenere a lungo. A questo punto il cacciatore libera il furetto, munito di museruola, che s’incunea nella tana per far uscire allo scoperto il coniglio. Il cane deve saper attendere il lavoro del mustelide senza fretta, magari sedendosi poco distante e mantenendo una viva attenzione.

Una volta che la preda è stata abbattuta dal cacciatore, alcuni Cirnechi effettuano anche il riporto in modo esemplare, pur non essendo sicuramente una razza vocata a tale azione, altri si limitano solo ad addentare il coniglio per scrollarlo senza rovinarlo, al fine di scaricare la tensione accumulata durante la battuta. E’ un cane ben disposto all’addestramento, buon guardiano e affettuoso, se pur riservato, cane da compagnia. Sveglio e vivace, il suo carattere leale, ma diffidente, lo rende a volte poco socievole con gli estranei, nei confronti dei quali rivolge rapidamente innata simpatia o antipatia, senza mezzi termini. Indipendente e talvolta solitario, pur se tenacemente attaccato al padrone, è di difficile condotta al guinzaglio e portato a lunghe fughe e vagabondaggi che possono protrarsi anche per giorni.

Standard

Altezza: – maschi da 46 cm a 50 cm – femmine da 42 cm a 46 cm Peso: – maschi da 10 kg a 12 kg – femmine da 8 kg a 10 kg

Tronco: con lunghezza pari all´altezza al garrese. Con garrese ben elevato e torace poco più lungo della metà dell´altezza al garrese.

Testa e muso: con cranio di forma ovaleggiante ed assi cranio- facciali leggermente divergenti o paralleli. Il profilo superiore del cranio è lievemente convesso. Il muso raggiunge almeno l´80% della lunghezza del cranio.

Tartufo: sulla stessa linea della canna nasale e deve essere di forma rettangolare.

Denti: regolarmente allineati e completi nel numero; sono ammesse chiusure a forbice.

Collo: con profilo superiore molto arcuato. Lungo quanto la testa.

Pelle: ben aderente in tutto il corpo. Non devono mai presentarsi macchie nere. Arti: sia i posteriori che gli anteriori devono essere in appiombo con ossatura proporzionata.

Spalla: con scapole lunghe circa 1/3 dell´altezza al garrese e devono essere inclinate di 55 gradi rispetto al piano orizzontale.

Muscolatura: asciutta ma ben proporzionata al corpo.

Linea superiore: rettilinea sul garrese.

Coda: inserita in basso, di forma uniforme, lunga fino al garretto.

Proporzioni: lunghezza tronco uguale all´altezza al garrese; il muso sta al cranio come 8 a 10.

Pelo: di uguale lunghezza in tutto il corpo; sempre raso e liscio.

Colori ammessi: fulvo uniforme, isabella, fulvo e bianco, tollerato il colore bianco uniforme con macchie arancio.

Difetti più ricorrenti: prognatismo, enognatismo, convergenza degli assi cranio- facciali, canna nasale concava, misure fuori standard, depigmentazione totale, mucose nere, colori del manto non ammessi, occhio gazzuolo, monorchidismo, criptorchidismo.

Sara Ceccarelli