IL BOSCO DI PIANSALTO
Il giorno stentava ad apparire perchè quella fitta nebbia novembrina ,che avvolge ogni cosa, impediva alla luce di illuminare questa parte di mondo. E’ questo il momento in cui il freddo si fa più intenso e penetrante ma il mio abbigliamento fronteggiava egregiamente la situazione e camminare a passo svelto sul sentiero sassoso, aiutava a tenere ben caldi anche i piedi.
Asia la mia giovane pointer sembrava non avvertire tutto questo e galoppando continuamente avanti e indietro lungo lo stretto viottolo mi sorpassava sfiorandomi le gambe con il rischio di farmi cadere. Spesso si rotolava sopra l’erba inzuppata di brina e rialzandosi si scrollava di dosso l’acqua incorporata dal corto pelo. Nel vedere questa scenetta, abituale per un cane in quelle condizioni atmosferiche , mi aumentava la sensazione del freddo. Asia aveva preso tutto da sua madre ,stessa corporatura ,stesso mantello, stesso portamento, solo una impercettibile macchia a metà della coda faceva la differenza. Tutto questo avveniva mentre percorrevo quel lungo tratto di strada che mi divideva dal punto dove lasciavo la macchina al bosco dove andavo a caccia. Quel bosco lo conoscevo bene come lo hanno conosciuto bene i cani con i quali ci ho cacciato, PUNTO , LUNA, NILO, GUERO, ARIA e adesso ASIA.
Bosco di media collina in prevalenza di quercia , intervallato da belle radure un tempo coltivate a cereali, bosco che fino a qualche decennio fà con la legna, il carbone, la selvaggina e i prodotti spontanei ha consentito a generazioni di sopravvivere. Oggi la zona è completamente disabitata ,le vecchie case coloniche stanno tutte andando in rovina , creandomi nel vederle un certo stato di desolazione; nonostante questo la zona mi ha affascinato dal primo giorno che ci ho messo piede.
Il bosco in particolare mi riserva sempre la piacevole sensazione di sentirmelo amico ma nello stesso tempo mi incute un certo timore. Bosco nel quale, ogni volta che ci entro mi aiuta a misurare le mie forze e le mie astuzie, bosco che mi stimola a fare delle riflessioni su questa vita terrena. Bosco che quando riesco a sottrargli qualche capo di selvaggina mi piace immaginare che sia lui a concedermelo. Bosco che quel giorno con me fu’ generoso. Il sole stava vincendo la sua battaglia con la nebbia e tenui raggi rossicci si riflettevano sulle foglie ormai ingiallite, evidenziandone i bei colori autunnali. Mentre mi accingevo a lasciare lo stretto viottolo per passare nel bosco, Asia che conosceva bene il punto dove abitualmente entravo, mi precedeva, ed i suoi atteggiamenti cambiarono all’improvviso: non piu’ corse senza senso, non piu’ giochi sopra l’erba, non piu’ richiesta di coccole, naso al vento cominciava a cercare con la solita avidità, ed in questo periodo la cerca è rivolta alla beccaccia.
Io dentro il bosco in prevalenza seguivo i piccoli e stretti “stradelli” che con un fitto retaggio lo ricoprono in buona parte, e la prima meta da raggiungere era la “radura.” Cosi’ la chiamo perché è uno spazio aperto alla sommità di una collinetta e solo qualche basso ginepro e qualche fitto roveto la ricoprono e questa è una buona rimessa per la beccaccia. Arrivato in cima mi fermavo mentre Asia iniziava ad esplorarla, entrando di tanto in tanto nel bosco che la circonda ed il suono del campano, che gli avevo messo in precedenza, mi indicava la sua posizione. Dopo aver cercato, specie nei punti dove altre volte aveva fermato la beccaccia si avvicinò a me come per dirmi che oggi nella “radura” non c’è. Rimesso il fucile in spalla e fatta una carezza al cane mi incamminai per ridiscendere la collinetta e raggiungere un’altra rimessa non distante da questa ma in una zona dove il bosco ha una vegetazione molto piu’ fitta.
Asia mi precedeva e appena entrata in questa boscaglia, avverte subito qualcosa: aveva messo il naso a terra, seguendo una pista in uno stato di forte eccitazione. Pensai subito a qualcosa che gli stava pedinando e di intuito tornai subito fuori dal bosco, quindi nella radura, posizionandomi per una eventuale fucilata, con l’orecchio teso a seguire il suono del campano. Qualche attimo ed il suono tende ad affievolirsi fino a scomparire; è a questo punto che penso alla lepre, rassegnandomi perché per Asia questo selvatico è quasi impossibile da trattare. Lo conosce poco,il bosco è difficile, e la lepre non è proprio selvatico per pointer.
Comunque cambio le cartucce con altre piu’ adatte al presunto selvatico e pazientemente aspetto. Passano parecchi minuti quando in lontananza sento di nuovo il campano il cui suono stava rapidamente avvicinandosi verso la mia direzione. I battiti cominciano ad aumentare e come al solito mi prende una certa agitazione ma che riesco a controllare, volgo lo sguardo verso un punto dove sbocca un viottolo e vedo la lepre che “sgattonando” cercava di sottrarsi alla lunghissima guidata di Asia. Il tiro fu molto facile e mentre la lepre si rotolava in terra arriva Asia che la afferra trascinandola per un po’; la lascia e comincia ad annusarla tutta poi inizia a darle dei morsi rabbiosi lasciando la sua bocca piena di pelo.
Raccolsi la lepre sollevandola per le lunghe gambe posteriori mentre Asia continuava con dei salti ad assestarle morsi: rimisi in terra la lepre trovandomi un po’ impacciato, vuoi per il selvatico per me inusuale, vuoi per la gioia che provavo per la bella azione di Asia, vuoi perché anch’io ero molto contento e quindi non sapevo cosa fare. Superato il felice temporaneo smarrimento calmai Asia cercando di frenare la sua legittima eccitazione ma nello stesso tempo volevo farle capire che era stata brava e non sapendo come, mi venne spontaneo di abbracciarla. Sono certo che lei capì. Ripresi la lepre sollevandola per le gambe anteriori, premendole dall’alto in basso la pancia facendo così uscire l’urina che aveva dentro , prima di sistemarla, con non poche difficoltà dentro la cacciatora.
Riflettei un attimo sul da farsi, pensai di tornare alla macchina per posare la pesante lepre ma la strada da fare era tanta ed avrei perso troppo tempo, quindi, decisi di continuare a cacciare con la lepre addosso. La prossima rimessa da esplorare era quella del “rogaione” dove, e da li il nome, un grosso roveto occupa questo posto , che come ho già detto non è distante in linea d’aria dalla “radura” ma per raggiungerla dovevo oltrepassare tre canaloni. Asia come sempre cercava con impegno nel fitto bosco tanto che per lunghi tratti sentivo solo il campano che mi rassicurava della sua presenza; lei di tanto in tanto mi raggiungeva e la mia pacca sulla sua pancia consolidava la nostra intesa.
Il primo dei tre canaloni era il più facile da passare perché contrariamente agli altri due, ci scorreva poca acqua ed anche perché due grosse pietre affioranti mi permettevano di appoggiarci i piedi. Lo passai quindi facilmente. Arrivai al secondo e come prevedevo l’acqua che ci scorreva era tanta: raccolsi un bastone per sondare la profondità e quindi valutare se l’altezza dei miei stivali era sufficiente ad evitare che si riempissero. Ero al limite ma immergendo i piedi in certi punti ce l’avrei fatta. E così fu. Il terzo presentava oltre alla notevole quantità di acqua la pericolosa perpendicolarità delle sue pareti, naturalmente con il fucile in sicura e a tracolla, avendo libere le braccia potevo aggrapparmi alla vegetazione e come sempre riuscii a passare anche il terzo ed arrivare quindi in vista della rimessa.
Facendo il minimo rumore possibile con un leggero fischio richiamai Asia e la misi a guinzaglio. Era solita adare nel punto dove spesso aveva fermato la beccaccia molto prima di me e questo era rischioso perché come mi era già successo, una beccaccia leggera non tenne la ferma e si involò prima che arrivassi a servire il cane. Con il cane a guinzaglio in una mano e con il fucile nell’altra non era facile farsi largo tra quelle alte eriche e corbezzoli, ma piano piano riuscii ad arrivare nei pressi di una vecchia carbonaia che conoscevo bene, dove la vegetazione è meno fitta e dove abitualmente liberavo Asia dal guinzaglio.
Come di solito faceva, appena libera si diresse nei pressi della fitta rogaia: vi girò intorno, andò pancia a terra dentro, uscì, entrò di nuovo nella parte opposta ma non avvertì la minima traccia della beccaccia; intelligentemente allargò la cerca nella zona circostante ma anche questa manovra non diede alcun risultato. A monte di questo posto c’è un ripido greppone alla cui sommità inizia una piccola zona pianeggiante al centro della quale una centenaria quercia sembra fare da sentinella alla vallata sottostante. Asia, senza esitazione aggirando il greppone va a cercare su questo pianoro, mentre io, grazie al campano seguivo i suoi spostamenti.
Dopo qualche istante non sento più il campano ed ero quasi certo che Asia fosse in ferma. Seguendo un viottolo cerco di raggiungere il pianoro, ma il giro da fare era piuttosto lungo e quella lepre che mi portavo dietro sembrava essere sempre più pesante: ci arrivo ansimante ma di Asia nessuna traccia, mi abbasso per scrutare attraverso i fitti cespugli nella speranza di vederla ma niente, mi sposto di lato e mi abbasso di nuovo ed è in questo istante che per un attimo sento il campano, e questo mi aiuta a localizzarla. Decido di aggirare la grande quercia ed era infatti il suo grosso fusto che mi impediva di vedere il cane che come prevedevo era in ferma. Tesa, collo allungato, statuaria, la bocca che masticava l’effluvio. Bellissima. Sicuramente avverte la mia presenza, gli sono vicino ma non abbastanza perché mettesse in volo, la sua ferma sicura mi tranquillizza e mi facilita l’accostamento; avanzo muovendomi con cautela evitando al massimo di fare rumore ed arrivo così a pochi passi da lei.
Un dolce sfarfallio, lo sparo, il rumore provocato dalla caduta sopra i cespugli, qualche attimo e Asia che mi viene incontro con la beccaccia in bocca: non gliela prendo subito, la accarezzo, le parlo, non so cosa le stò dicendo, ma ci capiamo e insieme assaporiamo questo momento magico di grande felicità. Già, la felicità, questo stato d’animo che spesso ci appare irraggiungibile e che invece può essere anche dato da cose semplici, ed il bosco, un cane e una beccaccia sono cose semplici. Accarezzo delicatamente la beccaccia, le sistemo le penne fuori posto, prima di riporla nella capiente tasca destra della cacciatora, non voglio tenerla dietro insieme alla lepre, sono due selvatici troppo differenti.
Rinuncio a fare una capatina nella piccola pineta giù a fondo valle dove il ruscello fa una semicurva e dove abitualmente mi piace andare. Non vi ho mai trovato alcun tipo di selvaggina, ma il posto mi ha sempre attratto perché mi piace ascoltare il rumore dell’acqua che scorre. Inizio quindi a risalire verso “campolungo” dove termina il bosco e dove ho intenzione di fermarmi per riprendere fiato dalla fatica e dall’emozione.
Così ho fatto e prima di riprendere con Asia la strada che mi riporta alla macchina i miei pensieri vanno di nuovo a questo meraviglioso bosco, dove hanno spazio i miei sogni e le mie aspettative, dove trova lucidità il mio intrigato modo di vedere le cose, dove a volte trovo le risposte ai troppi perché che mi pongo. Bosco di cui avverto la sacralità ed il mistero e da questi mi lascio stregare. Bosco che oggi mi ha magicamente concesso due sue creature.
Mauro Castellani