LA LEGGENDA DEL CACCIATORE ORIONE di Armando Russo
Ecco ancora un bel regalo dal nostro carissimo Dr Armando Russo, questa volta alla scoperta per noi della leggenda di Orione, mitico cacciatore e fondatore di una delle più belle città di Sicilia, Messina.
A Messina – Piazza Duomo- vi è una bella fontana monumentale dedicata al mitico cacciatore Orione, il fondatore della città.
La fontana, opera di Montorsoli, reca infatti sulla sommità la statua di Orione e del suo cane; l’intero monumento è considerato uno dei più belli di Sicilia e su di esso, tra l´altro, vi è anche scolpita la storia di Diana ed Atteone.
Inoltre, nel Museo di Messina, vi è anche un quadro che lo raffigura con Sirio e una lepre.
Armando Russo
IL MITO DEL CACCIATORIE ORIONE
“… A lato del campanile sorge il monumentale Fonte Orione, un leggendario eroe che gli antichi messinesi ritenevano il costruttore del porto e di altre fabbriche della città. Lo si diceva venuto al tempo della civiltà Minoica, per sgominare i pirati del Mar dello Stretto, chiamato dal sicano Zanclo, re di questi luoghi, al quale era giunta fama delle sue opere realizzate altrove. La mitologia classica lo presenta sotto diverse versioni.
Cresciuto in età, Orione divenne un gigante, camminava nel mare anche dove era più profondo e con la testa toccava il cielo. Superbo ed orgoglioso, fin da giovanissimo si dedicò alla caccia e divenne un formidabile cacciatore, tanto da voler rivaleggiare con Artemide. La dea, forse perché innamorata e tradita, forse perché sfidata e vinta, e quindi offesa nella sua suscettibilità, un giorno lo colpì con una freccia e lo uccise.
Il fedele Sirio ululò per giorni accanto al cadavere di Orione, finché Zeus li trasformò entrambi in due stelle del cielo: la prima, tramontando in Autunno, annunzia piogge e bufere, la seconda invece brilla nitida e sicura nella calura delle notti estive. La scienza astronomica ha dato il suo nome ad una costellazione del cielo australe, a sud del Toro e dei Gemelli.
Una seconda versione lo vuole, invece, figlio gigante di Nettuno e di Brilla di Minos, educato da Atlante che ne fece un formidabile cacciatore ed un ottimo navigante. La sua armatura era tutta d’oro e la sua spada era fatta di metallo così fine che da lontano luccicava come saettante folgore. Nelle sue prolungate cacce era sempre accompagnato da un cane latrante, il fido Sirio e con esso, per selve e balze, senza mai riposo, inseguiva belve e cervi con astuzia e bravura.
Ma non soltanto animali Orione ambiva cacciare. Un giorno, preso da ebbrezza, si diede ad inseguire e a dardeggiare le figlie del suo benemerito educatore Atlante, le sette timide ma belle sorelle Iadi e, quando queste morirono, anche le altre loro sette sorelle Pleiadi (Maia, Elettra, Taigete, Asterope, Alcione, Celeno e Merope). Allora Zeus, da loro invocato, per sottrarle ai suoi insensati dardi, le tramutò in stelle del cielo. La scienza astronomica diede i nomi di Iadi e Pleiadi a due ammassi stellari situati nella costellazione del Toro, che dalla Terra dista solo 500 anni luce.
Zeus perciò lo punì e lo condannò a sorreggere con le mani alzate la volta celeste. Fu forse in questo tempo che Orione, sentendosi ormai al sicuro, venne in Zancle. Artemide, quando lo vide, se ne innamorò e, lo pregò di costruirle un tempio sulle rive del Peloro (dove ora c’è la chiesa di Santa Maria delle Grotte).
Lo nominò anche suo custode ed assistente di quei fidati cacciatori che, prima di intraprendere una spedizione venatoria, in ore antelucane , si recavano in quel tempio per riverire la dea e venerarla. La pace tra i due, però, non durò a lungo. Urtatasi con lui perché vinta al gioco del disco o perché tradita al gioco dell’amore, la dea lo fece mordere da uno scorpione (o lo colpì lei stessa con una freccia avvelenata). Zeus, commosso per la brutta fine di quel figlio monello, lo mutò in una costellazione del cielo.
Ma qualunque sia la vera vicenda di questo eroe, la legenda lo vuole restauratore e costruttore del porto e di molte fabbriche zanclee, sicché i messinesi, a maggior gloria della loro genesi, vollero anche ricordarlo nel marmo, per tramandare ai posteri il ricordo della loro semidivina discendenza…”
Dr Armando Russo
Federcacciatore e Giornalista