LA STORIA DI UN RE, UN CANE E UN CONTADINO di Armando Russo

Questa bella leggenda, che l’amico e collaboratore Dr Armando Russo ha amato segnalarci, narra dell’origine del piccolo paese siciliano di Furnari, in provincia di Messina. Essa, risalente al 1220, è addirittura citata nell´Orlando Furioso di Ludovico Ariosto, al canto XLI, 30:
“…un can d´argento aver vuole Oliviero che piaccia e che abbia sul dorso con un motto che dica FINCHE´ VEGNA…”.


LA STORIA DI UN RE, UN CANE E UN CONTADINO
Quando la leggenda emerge dal tempo….

….Furnari è sul fianco d’una collina propaggine del Monte Croce. Le case, strette una all’altra, han strade anguste appena lasci la piazzetta aperta su degradanti colli d’olivi, sulla Piana verde di vigne e di canneti, sul Tirreno che fa golfo tra i capi di Tindari e Milazzo. Di fronte, tra cielo e mare, le Eolie.

Ma dove oggi le colture degli uomini allineano vigne e olivi, otto secoli orsono erano la selva e le macchie e lepri, e volpi avevan tane innumeri nell’argilla e c’erano l’istrice e il riccio e uccelli di passo.
Il paese non era ancora: solo in una radura del bosco s’innalzava una casa di muri a secco dove Antonio Furnari conduceva una povera vita di contadino, dissodando terra nei pressi, in quotidiana lotta con gli sterpi e le erbacce.

Fu qui che le vie del destino di Ruggero II d’Altavilla incontrarono il sentiero che conduceva alla casa nel bosco. Forse una lepre inseguita dalla muta dei cani indicò quel sentiero, ma vi contribuì certo la mano di un arciere inesperto che, per sbaglio, colpì il veltro che più la premeva da presso. Guaendo il cane s’accasciò ed il re d’un balzo gli fu accanto e se lo raccolse in grembo, premendo la mano aperta sulla ferita; ma il sangue spicciava lo stesso a fiotti.

Bisognava far presto per dargli aiuto. I cacciatori imprecavano: proprio a quel cane doveva capitare tanto danno, all’amico indivisibile del re, al migliore della muta. Qualcuno scorse allora la casa sul verde e additò il sentiero, e su esso s’affrettaron tutti e primo il re che teneva in braccio il cane.

Così Antonio Furnari se li vide davanti; e subito nell’aia fu un concitato muoversi attorno a quel cane che si torceva nello spasimo e tentava invano di leccarsi la ferita. Fu tratta acqua dal pozzo, le bende, portate dal contadino, passarono di mano in mano.
Ma il cane, fasciato, non si reggeva in piedi. Il Furnari guardava i visi abbuiati dei cacciatori, visi rudi, arsi dalle intemperie e dal sole; mirava soprattutto gli occhi azzurri del più aitante di loro che, chino sulla povera bestia, scoteva il capo.
Che gente era? Di dove veniva?

Ma già quegli occhi si levavano su di lui col guizzo della decisione dentro: “Io debbo assolutamente andare e il cane non può seguirmi. Te lo lascio in consegna: abbine cura chè, prima o poi, verrò io stesso a prenderlo”.

E s’era appena curato dell’assenso del contadino come se le cose che gli aveva detto gli fossero dovute, come se quel cane per vivere – pensò in seguito il Furnari – non avesse bisogno di cibo e si nutrisse d’aria e del ricordo delle carezze del padrone.
 
Il re se ne andò senza rivelare chi in realtà fosse.
Passarono i giorni, le settimane, i mesi.

Antonio Furnari curava e nutriva il cane.
Si toglieva il pane dalla bocca per darlo a lui, abbandonava la zappa fra il maggese per andare a cercarlo non appena gli scompariva da davanti agli occhi.

Da quando era guarito, il veltro non faceva che agitarsi ad ogni frullo d’ali e scattare in folle corsa anche dietro un fiuto di selvaggina. Alto, agile e snello era veramente uno splendido animale. E per quanto schifiltoso di molti cibi, mangiava più di un uomo – notava il Furnari – troppo per la povertà di un contadino come lui che a stento la sera riusciva a metter la pentola sul fuoco.
E il tempo trascorreva senza che il suo padrone si facesse vivo. Forse s’era scordato del cane.

Qualcuno propose al Furnari che glielo vendesse, ma egli sdegnosamente respingeva ogni offerta: aveva promesso d’attendere il ritorno del cacciatore e avrebbe mantenuto l’impegno a costo di qualunque sacrificio: solo a lui avrebbe consegnato il cane.
Molti incominciarono a beffarlo: “E’ sempre dietro a quella bestia; rifiuta il denaro che gli offrono: attende il Messia”.
 
E a tutti lui, uomo di grande levatura morale, rispondeva che avrebbe tenuto con sé il cane “Finché venga!”.

E ci favoleggiavano sopra parlando di stregonerie, del veltro che aveva il diavolo in corpo, che compariva e scompariva fulmineo per le balze del bosco.

Ma un giorno squillaron trombe per la selva e l’eco dai colli rimbalzò sulla Piana. Uno stuolo di cavalieri con le insegne regali, con le croci d’oro sugli scudi lucenti si fermò davanti alla casa del contadino e Ruggero, in splendide vesti, smontò da cavallo.

Antonio Furnari allibì. “Eccoti il cane” disse “ho atteso il suo ritorno”.
E il cane faceva balzi di gioia e guaiva sfregandosi alle gambe dl padrone. Ma il re sembrò notare appena la bestia. Come assorto guardava la povertà del luogo e il contadino lacero sull’uscio della casa sbilenca.

Un pensiero improvviso gl’illuminò gli occhi e gli spianò la fronte: “Antonino Furnari – disse- nel nome di Dio e in premio della tua fedeltà, ti creo barone di queste terre. Il tuo stemma è un cane in campo rosso con la scritta “Finché venga”.

La casa coi muri a secco divenne presto un palazzo con lo scudo sul frontale e attorno cominciarono a sorgere fitte le case e, fra esse, le strade scesero ai campi arati. Negli anni seguenti, attorno al castello del barone cominciarono a nascere le prime povere case dei contadini che lavoravano nelle sue proprietà. Nel tempo si formò un villaggio, che nei secoli divenne un bel piccolo centro collinare.

I secoli portarono vicende liete e tristi nel piccolo paese; le generazioni si susseguirono, sotto la spinta del progresso mutaron modi e sistemi di vita ma, a conferma che i valori dello spirito sono immutabili ed eterni, sul gonfalone di Furnari c’è sempre lo scudo col vane e la scritta, a ricordo della fedeltà alla parola data da un uomo ormai perduto nel tempo.

E la leggenda di lui nello stemma del comune è simbolo di fedeltà…..


Finché venga...

E così, anche se la storia documentata vuole che Furnari abbia origine intorno al 1300, quando un certo Filippo Furnari, trasferitosi da Genova in Sicilia, ottenne il titolo di Barone e circa 1300 ettari direttamente dall’imperatore Federico II per i servizi fornitigli, ci piace pensare che il bel monumento con lo stemma del paese , raffigurante un cane levriero in campo rosso e la scritta “Finché venga..” rimanga per tutti ad eterno ricordo del valore della fedeltà e del rispetto alla parola data…

Un caro e sentito ringraziamento al Dr Armando Russo Giornalista e Federcacciatore

Per tutto ciò che fa per il nostro sito…