La mia caccia


Ormai molte albe sono trascorse. Anche se non posso raccontare avventure di caccia condite da brigate di starne o da mazzi di tordi, che purtroppo sono inevitabilmente patrimonio culturale di cacciatori di altre generazioni, sto navigando attraverso la mia 18° stagione di caccia. Perciò di cose e vicende vissute comincio ad avere il mio bel campionario. Con la caccia ho conosciuto persone e ho vissuto con loro il gusto di condividere una passione, ho toccato con mano il piacere di stare immerso nella natura, …ho conosciuto me stesso.

La mia caccia è fatta di pochi chilomentri quadrati contraddistinti da nomi singolari appartenuti spesso a persone che non ho mai conosciuto: gli sporchi di farani e dell´annetta, la macchietta del sor ulisse, la gasceta del lillo e quella di fabio, le balze di selvella, il filone, il piscino, la liccia, le macchie comuni e quella del quaglia, l´acqua morta. Sono nomi noti a un miliardesimo dell´umanità, ma in quei pochi che le conoscono generano le stesse mie emozioni. Sono luoghi a volte dimenticati dai loro stessi proprietari ma io me li sento tutti miei.

Conosco tutto di questi luoghi, siepi, spine alberi, ma ogni volta mi meraviglio nell´accorgermi di un nuovo particolare. Queste sono le mie radici e se un giorno le perdessi perderei una gran parte di me. Ho seguito mio padre sin da piccolo in questi luoghi e da lui ho imparato ad apprezzarli e a rispettarli. A volte l´intervento delle motoseghe e delle ruspe li depaupera, ma loro sono più forti e la vegetazione deturpata rinasce sempre con rinnovato vigore. E´ il miracolo della natura e non servono pomposi documentari per capirla.

In questi luoghi ho assaporato la mia caccia. Mio padre sin da bambino mi portava nel bosco e mi spediva qua e la a raccogliere i tordi che colpiva, si quei benedetti tordi che non ritrovavo mai. E la mia mente di bambino non capiva come mai lui sapeva esattamente dove erano anche a venti metri di distanza e nel folto del bosco e io ero quasi sopra e non li trovavo. In quei momenti mio padre mi sembrava soprannaturale ma grazie ai suoi insegnamenti oggi mi riescono naturali anche queste cose che mi sembravano impossibili.

La passione per la caccia èforse innata in me, ma mio padre mi ha trasmesso la sua essenza nella maniera più corretta. Da lui ho capito che la caccia è bella ma che è altrettanto un atto cruento. L´abbattimento di un selvatico è l´interruzione di una vita e allo stesso occorre portare il massimo rispetto. Mio padre ha dovuto sudare sette camice per esercitare un controllo della mia innata e maniacale passione per le armi da fuoco; mi ha insegnato ad usarle con un´occhio continuo alla mia sicurezza e a quella dei miei compagni di caccia. I fucili li ho toccati solo da grande, credo di aver sparato la prima volta a 16 anni, ma questo freno riconosco che è stato importante. Adesso sono scrupoloso, controllo spesso la mia arma e la tratto per quello che è: un terrificante strumento di morte.

Papà mi ha insegnato a calcare la campagna, rispettando il lavoro degli agricoltori che ci ospitano, a conoscere i ritmi delle stagioni, la biologia della selvaggina e il rispetto per gli altri cacciatori che sono animati dalla mia stessa passione: ciò mi ha permesso di verificare l´assoluto parallelismo tra la normale educazione e l´etica venatoria.

Giorni fa, mentre ero impegnato nella ricerca di un fagiano inspiegabilmente volatilizzatosi nel bosco, ho visto un padre con un bambino per mano che tornavano casa con alcuni tordi nel carniere. E´ stata una scena molto bella, ho rivisto il Riccardo di trenta anni fa assetato di avventura venatoria, nelle mani di colui che l´avrebbe cresciuto; ho sinceramente pensato alla fortuna smisurata di quel bambino.

Oggi caccio in assoluta indipendenza, quando mi va vado con gli amici ma a volte sento la necessità di farlo da solo. Solo così riesco ad alzarmi all´alba, mettermi dietro una frasca e cominciare ad ammirare la composizione di quel quadro stupendo che si costruisce al sorgere del sole. Sensazioni uniche che è difficile trasmettere e che a molti è inutile raccontare tanto non riuscirebbero a viverle come le vivo io. Tutti gli uccelli che cantano quando il sole sorge. Il tepore che aumenta e ti spazza via i brividi gelidi degli ultimi minuti della notte. E ti accorgi che senza il sole non può esistere la vita; lo sapevi da sempre e sta scritto in tutti i libri, ma questo è il momento assoluto in cui lo capisci. Sei preso da tutti questi eventi che ti trasportano in un mondo così lontano dagli assilli della vita, che non ti rammarichi affatto se il primo tordo che ti passa a tiro non riesci ad abbatterlo. Ti chiedi perchè non hai fatto in tempo nemmeno a puntare il fucile e scopri che la tua adrenalina era a zero, eri in uno stato di estasi per ciò che stavi ammirando. Poi ritorni in te l?adrenalina riprende possesso delle tue sensazioni e sai che il prossimo tordo del quale già senti in lontananza il tizzo, avrà vita più dura.

La caccia con il cane è poi la mia vera passione. Sono un pessimo addestratore di cani, ma i miei setter hanno sempre avuto un comune denominatore; sono riusciti a leggere le mie emozioni e le hanno fatto proprie, la mia passione era la loro. Spesso sembra quasi che ci capiamo, ci stanchiamo quasi nello stesso momento, e acquisiamo le medesime abitudini. Fremiamo alla stessa maniera quando fragoroso, il fagiano si alza nel cielo e gioiamo come due bambini quando il selvatico giace per terra. Siamo ormai grandi, io e i miei setter, ma in quei momenti godiamo delle pi? semplici emozioni dei bambini. Siamo fatti così.

Questa è la mia caccia, così lontana dai “carnieri a tutti costi”, e così lontana da come la descrivono coloro che si spacciano per gli unici ed assoluti tutori della natura. E´ la caccia che mi ha trasmesso mio padre, è la caccia che a mio padre era stata trasmessa da suo zio e dai cacciatori della sua generazione.

Per tanti motivi un figlio deve ringraziare i propri genitori, ma io devo farlo nei confronti di mio padre per un motivo in più: per avermi regalato “questa caccia” e non un´altra caccia. Quello che è stata la sua caccia adesso è la “mia caccia”; è un´eredità seria e la porto con profondo orgoglio correndo sempre a cercarlo ogni volta che rientro da una battuta per raccontargli le mie emozioni, ……perchè lui mi capisce. Sono le stesse emozioni tramandate di generazione in generazione senza variazioni epocali. Si forse oggi ci sarà qualche albero o qualche filare in meno ma le emozioni sono le stesse, e questa è ciò che conta.

A volte mi manca la presenza di papà a caccia accanto a me, ma so che il mio ritmo non è il suo ritmo e il mio macinare chilometri in terreni scomodi lo metterebbe in difficoltà. E´ una cosa che mi intristisce, quella di riuscire sempre di meno a cacciare con mio padre, ma ogni volta che posso farlo, lui non lo sa, ma io ritorno trenta anni indietro e rivivo le emozioni di quel bambino che non capiva come mai i tordi abbattuti nel bosco li ritrovava solo il suo papà.

Riccardo Ceccarelli