La mia prima lepre


Correva l´anno venatorio 1964/65. Eravamo nei primi giorni di dicembre e nella nostra campagna c´era un notevole rigiro di tordi, che dopo aver beccato negli oliveti della zona si rifugiavano la sera nelle “cerrine” delle macchie comuni di Badia. La caccia al tordo mi attirava in modo particolare e in quei periodi dell´anno le dedicavo molto del mio tempo libero. Ebbene, una di quelle sere di dicembre, dopo aver fatto una briscola ed un tresette al circolo E.N.A.L., tornavo verso casa; erano circa le dieci e trenta, l´aria era completamente ferma, ma il freddo era davvero pungente. Mi fermai un attimo, attratto da uno zirlo appena percepito, per via di un consistente passamontagna che tenevo tirato giù sulle orecchie.

Sollevai il capo verso il cielo stellato e illuminato dalla luna, liberai le orecchie e, non solo uno, ma un concerto di zirli risuonavano nell´aria. Capii che l´indomani sarebbe stata un´ottima giornata per la caccia al tordo. Corsi a casa. Presi l´attrezzatura e mi misi a caricare una ventina di cartucce con innesco S.I.P.E., con D.N. piombo n°10, dose 1.70-34 (nomi e numeri familiari specie ai vecchi cacciatori abituati a caricare da soli. Poi a nanna perchè l´indomani mattina c´era la scuola, i ragazzi attendevano e bisognava essere freschi e riposati.

Il giorno seguente svolsi serenamente il mio lavoro da maestro con gli alunni, senza negare che qualche zirlo ogni tanto mi passava per le orecchie. Il pomeriggio era libero, da dedicare completamente alla caccia di appostamento, nel capanno, che con notevole cura, qualche sera avanti avevo costruito nella zona più riparata del bosco. Al ritorno mangiai in fretta e furia e via, con la mia doppietta Bernardelli “S. Uberto 2” in spalla, ben imbacuccato, alla volta delle macchie comuni. Arrivai al capanno in pochissimo tempo, anche perchè conoscevo il bosco come le tasche dei miei pantaloni. Sedetti sul rudimentale banchetto che avevo allestito, caricai il fucile, lo appoggiai ad una frasca del capanno ed accesi una M.S. (allora fumavo, povero me!), in attesa che qualche tordo cominciava a rientrare. Il bosco in quel periodo dell´anno è veramente fantastico per colori e per piccoli rumori e stando lì tutto solo non potevo che osservare tante sfumature ed ascoltare fruscii, sibili, battiti d´ali. Ad un tratto però mi sembrò di sentire un calpestio sulle foglie secche che a mano a mano si faceva più chiaro e cadenzato. E si, era un cacciatore che veniva in direzione del capanno. Non stentai molto a riconoscerlo; era l´ex maresciallo Serafini (padre di Don Remo, parroco di Sanfatucchio) che, con il suo calibro 28 veniva per fare il suo arrostino.

– “Che ti prenda un bene, ci sei già tu?” – mi disse sorridendo. Io non sapevo che pesci prendere, ma considerato che ero piuttosto giovane, non potevo fare uno sgarbo ad un vecchio cacciatore e lo invitai ad entrare, tanto se i tordi arrivavano c´era la possibilità di sparare per entrambi. Non se lo fece dire due volte. Lo feci sedere mio banchetto ed io sedetti accanto. Mi disse che era stanco perchè la mattina aveva camminato tanto e non aveva sparato un colpo.

E parlavamo, e parlavamo e poi .. mi guardò e disse – “In questo capanno si sta stretti in due! Non ti pare?– Io capii l´antifona e decisi che era meglio andarsene.

Maresciallo – dissi: – “Vado a fare un giro nel bosco; più tardi ripasso di qui e ritorniamo a casa insieme. Così feci. Mi incamminai verso il poggio, in direzione della pineta che fiancheggia parte del nostro bosco. Soffiava una gelida brezza di tramontana. Nella macchia si stava proprio bene. Ogni tanto sentivo il canto di una ghiandaia, il chioccare di un merlo, ma zirlare di tordi proprio niente.

Riflettei un po´ e giunsi alla conclusione che forse i tordi, approfittando del chiarore di luna, la notte precedente avevano proseguito per altre campagne. D´altronde anche il calibro 28 non faceva sentire la sua inconfondibile voce. Camminavo lentamente, dribblando rovi e cespugli di cerro, quando in direzione della pineta, portato dal vento, sempre pi? intenso, cominciai a sentire il chiassoso cinguettio d un passeraio.

Poi mi mossi un po´ e ad ogni passo il cinguettio si faceva nitido ed alto. Riportare a casa qualche tordo era improbabile e allora decisi di sparare ai passeri. Feci gli ultimi passi senza rumore, curvo, tenendo la mano sinistra il fucile, mentre con la destra toglievo i ramoscelli che mi battevano in faccia. Mi fermai dietro l´ultimo grosso cespuglio. Al di là c´erano i campi., e proprio sulla stoppia di fronte, ad una cinquantina di metri intravidi lo svolazzare dei passeri; erano un´infinità.

Tirai su il fucile piano, piano; lo appoggiai ad un rametto e PAM PAM, tirai due colpi in rapida successione. Uscii di corsa da dietro il cespuglio, poi mi fermai un attimo a ricaricare la doppietta, tanto non c´era fretta a raccogliere i passeri ormai morti. Infilai nelle canne le solite cartucce di D.N. e  clac.. richiusi il fucile. In quell´istante vidi schizzare alla mia sinistra una lepre, diretta verso il bosco. Il colpo fu istantaneo e l´animale rotolò nel fossetto accanto. Era la mia prima lepre; una sensazione indescrivibile. La raccolsi, la osservai nella sua lunghezza e poi la infilai nel carniere della giacca di velluto, avendo cura di mettere bene in vista la testa e le zampe posteriori ai lati della giacca. Non rimaneva a quel punto che tornare in basso, verso il capanno, dove il vecchio cacciatore aspettava.

Vi assicuro che il mio procedere era diverso dall´andata: il passo era celere e la cura per le sterpaglie davvero minima. In pochi attimi fui al capanno. Entrai, mi misi accovacciato con i segni della preda bene in vista. Il maresciallo continuava a scrutare dai pertugi, lamentando di non aver sparato affatto in un´intera giornata di caccia. Ma ormai il sole tramontava, l´aria diveniva sempre più gelida, non restava che tornare al calduccio del focolare. “Beppe”  disse “Andiamo?” Si  risposi. Sfilò la canna dalla fessure delle frasche, abbassò il fucile e lo sguardo verso terra, tolse la cartuccia e richiuse con mossa energica. Ci fu un borbottio confuso, una porca “.. miseriaabbastanza nitida ed eloquente. Il vecchio cacciatore aveva visto e rapidamente concluso.

Si allontanò dal capanno con passi cadenzati e rumorosi, senza più parole, verso casa. Ed io andavo a distanza. Ebbi modo solo l´indomani di raccontare l´accaduto ad un maresciallo ormai disteso e disposto al sorriso.

Oreste Ceccarelli