LA VIGILIA DELL´APERTURA di Carmelo Chirico

L’apertura della caccia è sempre stata un avvenimento vissuto con sentimenti forti ed a seconda degli ambienti frequentati talvolta anche intensi e passionali.
L’apertura avveniva in agosto ed era l’apoteosi di un susseguirsi di sensazioni vissute giorno per giorno, dalla chiusura dell’anno precedente sino alla sera della tanto agognata vigilia e già due settimane prima del giorno indicato per l’inizio della stagione venatoria, si cominciava ad andare in ricognizione nei posti conosciuti per monitorare la presenza di uccelli ed osservare lo stato dei luoghi.

Sembrerà strano ma quando oggi leggo di conservazione dell’eco sistema, non posso fare a meno di pensare che nulla si inventa dal nulla, e la mia considerazione nasce dal fatto che se vi erano stati incendi in una certa zona, noi si preferiva non appesantirne la pressione venatoria e cacciare altrove. E’ pur vera un’altra constatazione, gli incendi non erano così frequenti ed intensi come oggi, considerato che le nostre campagne erano curate e frequentate dai contadini che nulla avrebbero permesso perché tutto il loro lavoro andasse in fumo.

Come al solito la vigilia dell’apertura della stagione venatoria era un rito cui non potevi sottrarti, anticipata da giorni e giorni di preparativi e proposte su dove andare e che cosa cacciare, ma il culmine, di quello che si considerava una festa, si toccava con la cena cui partecipavano tutti quelli che l’indomani sarebbero stati amici ed avversari in una sana competizione tra di loro e la selvaggina.

Avveniva così che il gruppo, quasi sempre numeroso, quell’agosto del 1981, la sera si ritrovò a cena e tra buon cibo e qualche bicchiere di vino, fece le ore piccole in attesa della partenza che era fissata per le 4,00, alla volta dei piani del Poro, in prossimità dell’aeroporto militare di Vibo Valentia, dove nei giorni precedenti avevamo accertato la presenza di tortore e colombacci.

La presenza di questi uccelli in quei posti, nel periodo estivo, è quasi sempre numerosa per l’alternanza di boschi e di colture intensive a graminacee, ma la loro permanenza dipende dalle condizioni meteorologiche, in quanto i temporali di fine agosto ne hanno sempre determinato la partenza anticipata, e quando ciò avveniva, i cacciatori si ritrovavano a fare lunghe passeggiate tra i campi senza sparare un colpo.

Fu così che all’ora prestabilita ci ritrovammo alla “Rotonda”, nei pressi della chiesa di San Paolo, una chiesa alla periferia di Reggio Calabria, ed a bordo di un furgone che mio cognato Orazio si era fatto prestare dal fratello commerciante, partimmo in sei alla volta di Vibo Valentia, con tante di quelle cartucce che avremmo potuto sostenere una ipotetica battaglia con un esercito nemico.

Il viaggio si protrasse per quasi un’ora e mezza tra scherzi e sfottò, con bersaglio preferito Angelo che aveva acquistato un automatico giapponese, con un nome impronunciabile, giurando su prestazioni eccezionali. Di Domi invece fu il turno quando si affrontò l’argomento cani, dato che il suo bracco tedesco, come segno di affetto aveva l’abitudine di farti un bagno con la saliva, e che per le dimensioni, non certo minute, entrava a mala pena nella Fiat 128.

Tra celie e scherzi l’arrivo sul posto di caccia, “i chiani da luna“ in prossimità della frazione Caria, che dista pochi chilometri da Tropea, fu quasi una passeggiata di salute, tenuto conto della scomodità del furgone su cui viaggiavamo, ma l’arrivo avvenne con largo anticipo sull’alba prevista. Individuate le poste e dopo gli scongiuri di rito, non c’è altro che l’attesa perché il sorgere del sole dia inizio ad una nuova avventura che, oltre alla riuscita di quella giornata, è piacevole in quanto inizio di un nuovo anno di caccia da gustare a pieno presagendo le mille emozioni che proverai di volta in volta.

Il canto di un cuculo, che dal folto di un bosco ripete la sua cantilena, scandisce il tempo in un’atmosfera di ansia e l’attesa sembra non finire mai, mentre ripassi mentalmente la posizione delle cartucce che hai selezionato, tocchi e riguardi la sicura del tuo fucile, imbracci l’arma in prove di mira e sei sempre dubbioso, come se fossi sicuro di avere scordato qualcosa di importante, che potrebbe pregiudicare la buona riuscita di quella giornata di caccia, e che però non sai cosa sia.

Al primo colpo sei come una corda tesa, con tutti i sensi al massimo della percezione, con la speranza che chi ha sparato non abbia fatto centro e che il selvatico, guidato da chissà quale intuizione, venga a tiro del tuo fucile. Bel sogno ad occhi aperti!!!! Al 99% questo non avviene mai, ma subito dopo un altro sparo ti allerta e sei già pronto a dire la tua mentre rientri nel mondo reale e metti da parte le immaginazioni che ti hanno fatto compagnia sino all’alba. Il rumore prodotto dal battito d’ali della prima tortora mi sorprese e si fece beffa di me, nel momento che, levatasi da un albero di ulivo posto alle mie spalle, in un attimo si tuffò nel folto di un boschetto, lasciandomi con un palmo di naso e con un dolore al collo per il movimento brusco cui mi ero esibito per individuarne la direzione di provenienza.

Intanto gli spari si fecero più frequenti, segno della presenza di tortore, e quando un branchetto ebbe l’ardire di visitare il pianoro dove ci eravamo sistemati, fu accolto da una scarica di fucileria con il risultato di lasciare a terra tre malcapitate, ignare che quel giorno dovevano trovarsi un posto più sicuro per soggiornare. Mi ero appostato al limite di un campo coltivato a granturco, che era proprio al limite di un bosco fitto ed inaccessibile, ed anche se sapevo che avrei dovuto pagare dazio per la difficoltà del recupero, sicuramente avrei avuto più possibilità di trovarmi sulla linea di tiro di qualche colombo e delle tortore che andavano ai luoghi di pastura.

Quel giorno la presenza di tortore ci fece ammattire e per me ed i miei amici, tra tiri impossibili e qualche padella colossale, i carnieri furono gratificanti. Alle spalle della mia postazione si era sistemato un cacciatore, che sicuramente sapeva della vivacità del passo mattutino in quel punto, ma dopo avere visto che ero in giornata di grazia e che mettevo giù tutto quello che era nella mia linea di tiro, si cercò una sistemazione alternativa, molto lontana da me.

Fu così che in due ore, e prima che il caldo torrido si impossessasse di quei luoghi, avevo abbattuto due tortore, un colombaccio e, cosa non certo insolita, tre ghiandaie. Anche gli altri avevano avuto fortuna, e spesso ci scambiavamo pareri ed indicazioni sulle cartucce da usare, il tutto condito con qualche episodio di ilarità come quando il tanto decantato automatico giapponese di Angelo andò in tilt con la perdita di una miriade di pezzi metallici e molle che formavano il gruppo otturatore, e fine della giornata di caccia per il nostro amico che dopo quell’esperienza tornò ai più affidabili fucili nostrani.

Cosa ha di speciale l’apertura della caccia di quell’anno che vi ho raccontato?. Forse nulla ma nei particolari che ho raccontato ed in molti altri, che ho trascurato o scordato, vi è racchiuso tutto un mondo che solo se hai vissuto puoi capire e che è fatto di tanti aspetti che fanno parte dell’animo umano, a partire dal divertimento, dall’amicizia, al godimento di vivere a pieno una passione così trascinante in piena libertà ed in luoghi che definire incontaminati non è esagerato.

Che l’apertura della caccia anche ai giorni nostri ti dia sempre stimoli ed euforia, unite alla speranza di una buona annata, è un fatto certo, ma quella di cui vi ho raccontato lo era ancora di più in quanto ancora il territorio ti gratificava e non lo avevamo avvelenato con pesticidi di ogni genere, non erano tante le restrizioni legislative cui dovevi sottostare, la presenza di selvatici era ancora abbondante e soprattutto avevamo un bel giocattolo che ancora funzionava.

Prima del ritorno il solito rito della sosta in prossimità di un altarino dedicato a San Francesco, ricavato su di una fontana che ristora con la sua acqua i passanti e chi come noi ha vissuto una mattina di molti anni fa tra il caldo asfissiante, tanta fatica ed altrettanta emotività. Il ricordo di quel piccolo altarino mi fa rivivere momenti magici, quando in quei luoghi con mio padre, già dall’8 di dicembre, festa dell’Immacolata, venivamo ad insidiare le cesene e lui fervente uomo di fede era solito fermarsi sempre per una preghiera.

Ma questa è un’altra storia…

Carmelo Chirico