LUNGO IL SENTIERO VERSO LA CIMA di Renzo Stella

Dedicato a due amici che vivono la montagna.
Due amici schietti, veri.
Due fratelli che mi onoro di conoscere.
Luca e Stefano

Sul sentiero si faticava a salire. Gli scarponi facevano poca presa sulle pietre piccole e quasi tonde ed il piede arretrava sempre un poco, scivolando all’indietro; pochi centimetri indietro, ma la fatica per fare il passo era doppia.
Le nuvole nere e minacciose, una sola a dire il vero, copriva il vertice di quella montagna spigolosa che a guardarla pareva tagliata di netto.

Poco distante dal sentiero, incassato tra le rocce grigie, qua e là dipinte da una pennellata di muschio verde e marrone chiaro, correva il torrente di acqua gelida che il ghiacciaio di quella montagna regalava da millenni alla valle sottostante.
Il rumore dell’acqua cristallina che correva abbasso creava un frastuono piacevole a sentirsi, in quel silenzio fatto di vento, di canti di uccelli all’erta, del gracchiare scomposto del corvo imperiale; dei passi sicuri sul brecciolino del sentiero.

Camminavano su quella salita un poco curvi per mantenere l’equilibrio, gravati anche dal peso dello zaino che portavano sulle spalle.
Poche cose: una borraccia di acqua, un tozzo di pane ed un pezzo di formaggio; questa volta anche la leccornia di un dolcetto.

I cani abituati all’altezza da tempo, correvano ora a destra ora a sinistra, attraversando quel sentiero scosceso e scomparendo alla vista inoltrandosi nell’immensa abetaia.
Il rumore dei loro passi si sentiva solo quando uscivano allo scoperto, nel sottobosco di soffice muschio correvano silenziosi come fantasmi.
Fantasmi dell’opera.
L’opera della Natura.

I due cacciatori si fermarono a prender fiato ed a riscaldarsi un poco assaporando dalla piccola fiaschetta in acciaio una sorsata di forte grappa. Distillato giovane dal sapore forte e maschio.
Ammiravano il vento stracciare quella nuvola nera che decapitava senza ritegno la loro bella montagna.

Erano felici, senza parlare guardavano a bocca aperta quello spettacolo come fosse la prima volta; e la cima nasceva a poco a poco a nuova vita sfidando il cielo terso. Respiravano a pieni polmoni quegli effluvi stupendi che il bosco gli regalava, effluvi di muschio e resina, profumo di fiori montani.

I cani vennero galoppando a reclamare acqua visto che il gelido torrente era ormai lontano. L’altopiano dei mirtilli, come lo chiamavano, era alla fine della mulattiera, quella stessa mulattiera che fu teatro di guerra.
Si vedevano ancora un paio di cupole in cemento, ora usate come rifugio da esploratori improvvisati. Si poteva ancora immaginare la base che dava appoggio all’antiaerea.

Fortini che pareva non avessero tempo, pieni di ricordi di dolore, di pensieri amari, ora erano coperti di scritte d’amore, a tratti incise nel duro cemento. Cuoricini trafitti in imperituro ricordo degli innamorati di passaggio, turisti che non volevano dimenticare quello che anche il cuore poteva vedere passando da lì: l’immensità del Creato. La bellezza.

Il piano era ora sotto agli scarponi dei due cacciatori, prati a perdita d’occhio, cespugli di mirtilli non ancora fioriti, alpeggio stupendo.
Il cielo terso impediva di aprire gli occhi al massimo, abbagliava persino la loro vista abituata. Il vento gelido tagliava la faccia e induriva le mani, ma niente li avrebbe fermati. Quello era il posto d’elezione per cacciare quegli uccelli magnifici con le zampe piumate; le pernici di montagna.
Le mitiche bianche.

I due setter tricolore ora potevano dare il massimo, non c’erano più gli impedimenti degli alberi ad alto fusto. Alberi potenti che madre natura aveva voluto lasciare al gradino più basso, come fossero sudditi inginocchiati dinnanzi a quella regale roccia stagliata a guardare le stelle. Gli stessi sudditi che avrebbero difeso la valle in caso di valanghe nevose.

I cani corsero a destra e poi a sinistra; di nuovo a sinistra e poi a destra, incrociandosi senza infastidirsi, cercando di scovare l’effluvio giusto dell’usta animalesca e scaltra. Veloce.

I due uomini ammiravano le bestie e cercavano lo sguardo l’uno dell’altro complici e orgogliosi dei loro beniamini. Orgogliosi dei loro amici inglesi, orgogliosi della loro personale capacità nell’addestramento di due soggetti così nevrili e carichi di passione, quasi instancabili.
E venne finalmente il momento dell’incontro.

Il cane più giovane si fermò di scatto a pancia a terra, collo proteso in avanti, masticando l’aria; la coda alta quasi a bandiera, le frange spostate dal vento. Già, la coda… cruccio e delizia dei puristi di razza: a bandiera o diritta parallela al terreno?
Qui, in montagna, in mezzo a muschio ed erbe alte, rocce sporgenti, terreno duro, la coda a bandiera era molto più visibile e questo andava bene per rintracciare l’ausiliare anche da lontano.

Inutili e dannosi quei marchingegni elettronici dai suoni improponibili; una profanazione. Sarebbe stata una profanazione. Molto bene, bravo. Il setter più anziano, padre del primo arrivò sul posto dieci secondi dopo ed un consenso da brivido, uno di quelli da far accapponare la pelle per la sua bellezza esplose in tutta la sua teatralità. Molto bene bravissimi!

La pernice, o le pernici, erano state scovate, sorprese e fermate a terra. Ora toccava a loro a dar fuoco alle polveri e servire i cani. Si appostarono, caricarono la doppietta e un minuto dopo, l’erba esplose davanti alle loro figure impacciate.

Due saette avevano aperto le ali, due zampe scattanti come molle le avevano aiutate a darsi la prima spinta. Dopo il primo frenetico sbatter d’ali, subito dirette verso valle, verso il grande dirupo in direzione della montagna di fronte. Un’eco portò lontano, ripetendolo più e più volte il suono di due spari che risuonarono quasi all’unisono; ed un ciuffo di soffici piume già svolazzava portato dalla brezza.

E mentre le velate piume andavano disperse il cane giovane portava la sua preda al compagno umano. I due cacciatori erano soddisfatti, ritornarono sui passi di quel sentiero pietroso e ripido dopo solo due ore di caccia.
Due le pernici nel carniere, bastava così, la terza sarebbe stata un di più; ma nel cuore tanta, tantissima infinita bellezza.

Le riposero accarezzandone il piumaggio nella cacciatora. Raccontandosi chissà cosa, a bassa voce ritornarono a valle. Stanchi, ma felici. I cani al passo, gli si poteva leggere negli occhi la gratitudine verso quegli uomini.

Renzo Stella