“U FUCILI RU´ NONNU´” di Carmelo Chirico

Era il 23 aprile del 1950 e dopo un giorno mio padre venne a sapere della mia nascita. La notizia della nascita del primogenito lo raggiunse presso l’ufficio telegrafico di Bova Superiore, dove si trovava per lavoro. Lui era Capo Zona dei telegrafi di Stato, ed in quel periodo con la sua squadra provvedevano a collegare, con la rete telegrafica, tutti i paesi interni alla fascia costiera ionica.

In un’epoca in cui se eri una persona perbene non vi erano restrizioni nella detenzione e trasposto di armi per uso caccia, mio padre aveva sempre dietro il fucile che mio nonno gli aveva lasciato, una doppietta con i cani esterni calibro 16 in acciaio Cokeril: “U fucili rù nonnu”.

racconto caccia

Era tanta la gioia per la notizia ricevuta ed altrettanta la voglia di festeggiare l’avvenimento che, in un pomeriggio sicuramente gratificante, anche per il neo padre cacciatore, riuscì a riempire un sacco di juta con tortore, quaglie ed altri uccelli che all’epoca erano cacciabili. Dopo un viaggio a dorso di mulo per le zone impervie, giunse alla stazione ferroviaria di Bova Marina, da dopo proseguì per Reggio Calabria con l’unico treno che percorreva quella tratta.

Dicono di una festa luculliana, di cui la selvaggina fu l’apoteosi, per la felicità dei miei genitori e dei loro parenti per la mia nascita. Nel 1966, io che ormai la gavetta l’avevo fatta, e di zaini sulla spalla ne avevo portati tanti, avevo l’occasione di realizzare un grande sogno, avere il porto d’armi. Ma avere la licenza di porto d’armi e non avere come andare a caccia è un bel problema.

Il contesto familiare non certo florido, io studente e quindi nullatenente, non era certo la situazione ideale. Ricordiamo che in quegli anni la società aveva i sui schemi ben definiti nel modus vivendi e gli eccessi, in svaghi e divertimenti, non erano certo possibili, visto il contesto economico che ti accompagnava. Ma era più concreto e radicato il senso di dare alle cose un valore autentico e non consumistico, per cui se compravi una cartuccia, questa non veniva usata e poi gettata, ma recuperata fino a quando il fondello in rame (culatta) lo permetteva.

racconto caccia

Accadeva così che dopo avere messo da parte la cifra necessaria per comprare 100 bossoli in cartone della Fiocchi, si passava al caricamento ed a quel punto avevi una scorta di cartucce che sicuramente in una giornata di ottobre si sarebbero esaurite presto. Il recupero dei bossoli vuoti, che oggi è un dovere sociale, allora era una necessità in quanto se non recuperavi tutti i bossoli utilizzati non avevi cosa ricaricare.

Ed ecco che con l’ausilio di un attrezzo che oggi è quasi introvabile, il calibratore, si ricalibrava il bossolo che nello scoppio si era dilatato, a quel punto avevi a disposizione altri bossoli che, con il solo costo dell’innesco, erano pronti al caricamento. E così via sino a quando i bossoli in cartone ed il fondello in rame erano così logori che la prudenza ti convinceva che era ora di non utilizzarli più.

Oltre all’immancabile calibro 20 della Zanardini, mio padre aveva avuto da mio nonno il fucile che lo avrebbe accompagnato per oltre trenta anni nelle epiche uscite a tortore e quaglie, prima che lo donasse a me. Era la doppietta a cani esterni calibro 16, in acciaio Cokeril, quasi indistruttibile per qualità dei materiali e meccanica. Come soluzione al fatto che io potessi esercitare la caccia, mio padre, in un ideale passaggio, mi consegnò quel fucile che era stato di suo padre, dopo una serie di dovute raccomandazioni.

Con un corredo abbastanza spartano, ed una dote di circa sessanta cartucce caricate non si sa da chi, ma che a detta di mio padre erano miracolose, ebbi il battesimo del fuoco in una mattinata di un agosto torrido, cercando di insidiare qualche tortora. Risultato: un grandioso mal di testa per il forte rinculo. Da quel giorno e per tanti anni quel fucile, che era stato di mio padre ed ancor prima di mio nonno, è stato mio compagno in estenuanti inseguimenti ad ogni tipo di selvatico, sino a quando le condizioni economiche furono tali da consentirmi di comprare il mio primo fucile, che non poteva che essere un calibro 20.

racconto caccia

Oggi a dispregio della sua bellezza, pregevoli le incisioni con scene di caccia sulla bascula, è riposto in un grigio armadio di sicurezza, così come imposto dalla normativa in materia di sicurezza, dopo che negli anni passati aveva fatto sfoggio di se in una vetrina che gli rendeva sicuramente giustizia anche per le sue qualità estetiche.

Carmelo Chirico