ATTENTI ALLE PROCESSIONARIE!
L’approssimarsi della bella stagione reca con sè un rischio grave per i nostri cani: l’avvelenamento da bruchi di processionarie. Il pericolo risulta ancora maggiore se i nostri ausiliari sono giovani, inesperti e, soprattutto, curiosi! La processionariaè un Lepidottero, cioè una piccola farfalla, che presenta due cicli vitali: quello di larva o bruco, estremamente pericoloso, e quello appunto di farfalla, assolutamente innocuo. L’insetto adulto depone le sue uova in nidi simili a grandi batuffoli di cotone, su rami di pini ( la farfalla Thaumatopea pityocampa) o querce ( la Thaumatopea processionaria).
Circa all’inizio della Primavera, quando le temperature si fanno più miti, le uova si schiudono e le larve discendono dall’albero o cadono dal nido col fine di penetrare nel terreno per trasformarsi poi in adulti, farfalle notturne assolutamente innocue. E’ il periodo della discesa e del loro percorso in processione (da qui il termine utilizzato per indicarle) che risulta pericoloso per animali e uomini; esso può durare da Gennaio a Giugno, a seconda delle condizioni climatiche.
Il rischioè rappresentato dal fatto che i bruchi sono difesi da un gran numero di peli urticanti, debolmente attaccati alla loro superficie corporea, che facilmente si staccano e che presentano una dose massiccia di tossina, la taumetopeina. Saltuariamente, in altre stagioni, possiamo incontrare larve erranti, di solito non in processione, molto meno tossiche in quanto quasi sprovviste di peli. I nostri cani sono purtroppo frequentemente attratti da questi curiosi animali che si snodano in colonne di più di un metro, e spesso non esitano ad annusarle se non addirittura ad ingoiarle.
A volte può non essere necessario un contatto diretto ma la semplice vicinanza al bruco, al luogo da esso attraversato o ad un vecchio nido ormai disabitato, perchè il cane inali o venga a contatto con i peli. Le conseguenze sono rapide e manifestate dal cane con un immediato grave disagio, relativo all’azione della tossina che determina a breve una grave infiammazione locale. Dato l’usuale comportamento di alcuni cani di leccare tutto ciò che li incuriosisce, il primo sintomo che generalmente il proprietario può osservareè una forte salivazione, con produzione di vera e propria bava e difficoltà alla deglutizione.
Il cane può anche tenere la bocca aperta o cercare inutilmente di bere per trovare un po’ di refrigerio. Nell’arco di qualche ora la lingua diventa gonfia, violacea, con vesciche soprattutto nella parte anteriore.
Se il veleno ha raggiunto le vie respiratorie e gastro-enteriche la sintomatologia rapidamente si aggrava, con difficoltà respiratorie e turbe gastroenteriche quali vomito e diarrea verdastra. Talvolta si possono associare disturbi oculari o gravi eritemi cutanei. Viè di solito un rialzo della temperatura. Indubbiamente, maggioreè il tempo trascorso dal contatto col tossico e l’arrivo dell’animale in clinica, più evidenti saranno i sintomi manifestati dal cane.
Per questo motivo, di fronte ad un sospetto del proprietario sulla causa del problema, l’animale va condotto rapidamente dal veterinario; nel farloè consigliabile indossare guanti che permettano di toccare il mantello del cane in maggior sicurezza. Il trattamento terapeutico effettuato in clinicaè sempre e solamente di tipo sintomatico, in quanto non esiste un antidoto alla taumetopeina. Esso deve essere affrontato in maniera aggressiva e sistemica, senza sottovalutare mai la pericolosità di quest’avvelenamento. Se vi sono difficoltà respiratorie il soggetto sarà messo sotto ossigeno, mentre le zone corporee di contatto col tossico saranno risciacquate abbondantemente, possibilmente con sostanze basiche (acqua e bicarbonato), evitando sfregamenti eccessivi.
Contemporaneamente va adattata una terapia endovena con fluidi reidratanti, cortisonici per l’infiammazione e lo shock, antibiotici di protezione da possibili infezioni. Va ridotta l’ipertermia e, se necessario, somministrato un antidolorifico perchè l’azione del tossico determina forte dolore. Se c’è il sospetto che il cane abbia anche ingerito le larveè necessario prevenire o contrastare vomito e diarrea con farmaci specifici e proteggere le mucose esofagea, gastrica ed enterica con sostanze quali il sucralfato.
Le conseguenze dell’avvelenamento possono evolvere nell’arco dei giorni; si può avere una fase iniziale da lieve, con lesioni prettamente al cavo orale, fino al rischio di morte per soffocamento da edema alla laringe. Le prime 24 ore sono molto critiche per i rischi d’emorragie allo stomaco o turbe a livello della coagulazione. Se la fase acuta viene superata, i giorni seguenti possono mettere in luce gravi lesioni a livello della lingua che può rimanere addirittura mutilata, con porzioni di essa ormai morte che cadono spontaneamente o devono essere rimosse a livello del punto di disgiunzione tra tessuti sani e necrotici.
Fortunatamente, anche se spesso c’è una perdita notevole di tessuto linguale, il cane riesce a adattarsi in circa due settimane e reimpara ad alimentarsi. Per quanto riguarda la profilassi in realtà essa non esiste a livello medico; ciò che materialmente può fare il cacciatoreè evitare, nelle stagioni a rischio, di far stazionare il cane o, tanto peggio, la sua cuccia sotto pini o querce sui cui rami appaiano ben visibili i nidi delle processionarie. In Italia non esiste una legislazione relativa al contenimento di questo rischio che non è solamente limitato ad un discorso puramente veterinario, ma che abbraccia anche la sanità umana nelle aree urbane in cui sono presenti conifere.
Inoltre le larve delle processionarie sono molto invasive per le pinete perchè si nutrono delle foglie degli alberi in cui stazionano. Il contenimento di questi rischi è, ad oggi, affidato alle Comunità Montane che decidono, in piena autonomia e in relazione ad ogni singola situazione, le modalità d’intervento per affrontare un problema che negli ultimi anni, a seguito anche degli evidenti cambiamenti climatici,è diventato sempre più manifesto. Scartata l’ipotesi di un controllo chimico, fortemente inquinante, a nidi in realtà naturalmente protetti e coibentati, di difficile realizzazione una lotta biologica, le possibilità di un’utile prevenzione rimangono poche, piuttosto efficaci ma costose per le Comunità.
In alcuni casi esse optano per il taglio delle cime degli alberi con conseguente incenerimento dei nidi collocativi, mentre altre, quali la Comunità Montana del Trasimeno (PG), hanno deciso da anni per la lotta balistica. Questo procedimento, preventivamente autorizzato dalla Questura e attuato da Febbraio a Marzo, consiste nello sparare direttamente ai nidi, con fucili a canna liscia caricati con normale piombo, in modo tale da uccidere i bruchi prima della loro discesa, sia per azione diretta del piombo stesso sia per esposizione di quelli sopravvissuti al freddo delle notti invernali in un nido non più coibentato.
Sara Ceccarelli