STAMBECCO

La pubblicazione di questo articolo, tratto da Caccia 2000 Dicembre 2010, Organo d´Informazione dell´Associazione Cacciatori Bellunesi, ci è stata gentilmente concessa dal Sig Sandro Pelli, Presidente di ACB, che cordialmente ringraziamo.

UN PO’ DI STORIA E DISTRIBUZIONE DELLA SPECIE

L’origine dello stambecco (Capra ibex) risale, probabilmente, dall’evoluzione di alcune forme di capre che vivevano nell’Asia centro occidentale alla fine del miocene, ma fu durante l’era glaciale che questo ungulato si diffuse in tutta l’Europa. Un tempo presente in tutta la nostra penisola, seguì poi il ritirarsi dei ghiacciai sino a stabilirsi all’estremo nord, sui versanti più alti, al limite delle nevi eterne.

Nonostante la sua capacità di vivere in condizioni praticamente estreme ed in luoghi quasi inaccessibili, lo stambecco è stato da sempre oggetto di una caccia serrata da parte dell’uomo che iniziò a perseguitarlo in una sfida temeraria che vedeva l’animale quasi sempre prevalere grazie alla sua agilità e perfetta conoscenza dell’ambiente. Con l’avvento delle armi da fuoco, però, la sfida fu impari e la caccia diventò più facile e, soprattutto, poco controllata.

Di conseguenza, dal XVI secolo, questo ungulato cominciò a diventare sempre più raro. In Svizzera ed in Austria scomparve del tutto nonostante, ogni tanto, le Autorità emanassero disposizioni che tendevano alla sua salvaguardia. I motivi di questa smania venatoria non erano solamente quelli di possedere il maestoso trofeo o di prelevarne la carne, certamente molto apprezzata in quei secoli di soventi carestie, quanto le diffuse credenze popolari che lo dipingevano come un animale magico, dotato di poteri miracolistici e, soprattutto, in grado di guarire, con particolari parti del suo corpo opportunamente trattate, un grande numero di malattie anche gravi. Il sangue, per esempio, veniva usato contro i calcoli della vescica.

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Le corna, triturate e trattate da sedicenti medici e alchimisti, erano usate contro ogni tipo di malanno; i residui non digeriti che si trovavano nello stomaco venivano somministrati per guarire addirittura il cancro, mentre per la tubercolosi e la gotta venivano usati persino gli escrementi. Non c’è quindi da stupirsi se in alcune località delle Alpi Austriache prosperasse un commercio assai diffuso e redditizio, specializzato nello smercio di prodotti derivati da questo animale.

Uccidere uno stambecco non rappresentava, a quel tempo, solo una prova di abilità, ma diventava anche una patente di signorilità e di potere, oltre naturalmente ad un affare piuttosto redditizio. Proprio a causa di questa caccia ostinata, unita all’insorgere di malattie e, probabilmente, anche al ritiro graduale dei ghiacciai con conseguente cambiamento radicale dell’habitat, nella seconda metà del 1800 la specie era ormai prossima all’estinzione. Rimanevano solo pochi capi, forse meno di cento.

Fortunatamente i superstiti si arroccarono sulle pendici più scoscese del massiccio del Gran Paradiso e, quando ormai le speranze di sopravvivenza della specie erano ridotte al lumicino, intervenne una severissima legge del 1821, ed altre successive nel 1836 e 1850, che ne proibirono rigorosamente la caccia. Se lo stambecco, quindi, ci è stato conservato è lecito dire che lo si deve in gran parte alla passione per la caccia dei Savoia che, con quelle “Regie Patenti”, vietarono ogni forma di caccia a quella specie, destinando il comprensorio del Gran Paradiso a riserva Reale di caccia.

Nel 1856, con Vittorio Emanuele II, furono riprese dalla casa Reale le battute di caccia allo stambecco che proseguirono fino al 1918. Nel frattempo, però, la specie fu difesa da un nutrito numero di guardie forestali ed la sua popolazione crebbe notevolmente, grazie anche all’istituzione dell’omonimo parco Nazionale (1922), fino a raggiungere i 4000 esemplari. La specie subì, negli anni trenta, un’altra notevole diminuzione, complice la situazione di miseria in cui versava gran parte della popolazione. Il bracconaggio tornò ad imperversare ed il sopraggiungere della II Guerra Mondiale non fece che aggravare la situazione, tanto che nel dopoguerra la popolazione era di nuovo a rischio di estinzione.

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A questo punto entrò in campo Renzo Videsott, straordinario organizzatore dell’ormai fatiscente parco. La sua opera tenace e coraggiosa fece sì che lo stambecco in pochi anni si riprese il posto che gli competeva fra quelle montagne. La sua crescita da allora fu continua e costante fino ai giorni nostri. Oggi lo stambecco può dirsi specie fuori pericolo d’estinzione grazie anche, e soprattutto, alle continue reintroduzioni della specie in tutto l’arco alpino.

Le più consistenti colonie sono senza dubbio quelle del Parco dello Stelvio, introdotte nel 1967-1968, e dell’ex riserva Valdieri-Entraque, introdotte degli anni 20 e 30. Nuclei più modesti sono però presenti, come già detto, su gran parte delle Alpi, sia in Italia che oltre confine e non è raro per l’escursionista appassionato incontrare nel suo vagabondare questo splendidi e pacifici animali. Molto spesso, incuranti della presenza dell’uomo, è facile avvicinarli e poterli ammirare nel loro ambiente naturale in quasi tutti i massicci montuosi alpini, ma è tra le rocce cristalline del Gran Paradiso che lo stambecco imperversa incontrastato, perché è da questi monti, in gran parte innevati per tutto l’arco dell’anno, che questo re delle rocce è ripartito, aiutato dalla mano dell’uomo, alla riconquista delle Alpi.

DESCRIZIONE

Lo stambecco è un mammifero dalle forme massicce, che sembrano contraddire le sue eccezionali doto di agilità. La conformazione corporea e le caratteristiche morfologiche sono strettamente dipendenti dall’ambiente primitivo ed aspro nel quale esso vive. L’animale è quindi tozzo, compatto, raccolto, espressione massima di rusticità e forza. Alto al garrese 80-90 cm e lungo 120 -130, può raggiungere nel maschio il peso di 100 kg. Mentre la femmina ha dimensioni corporee più ridotte ed ingentilite e raramente supera il peso di 60 kg.

Tipiche ed inconfondibili della specie sono le corna a sezione quadrangolare che possono raggiungere nei maschi la lunghezza di oltre un metro e il peso di 4-5 kg, mentre nella femmina il trofeo è assai più ridotto, raggiungendo al massimo i 25-30 cm. Il loro sviluppo inizia poco dopo la nascita e termina solamente con la morte. Sulla faccia anteriore sono evidenti grosse nodosità ornamentali, più marcate nei soggetti giovani e più numerose, ma consumate, nei soggetti anziani, mentre su quella posteriore si possono notare con una certa facilità gli anelli o “rotture” che corrispondono all’età del soggetto.

Il mantello durante il periodo estivo è di colore grigio, mentre in inverno si fa assai più folto e lungo, assumendo una colorazione ruggine scura. Nelle femmine, in genere, la livrea è più chiara che nei soggetti di sesso maschile. Tipica dei maschi, inoltre, è una curiosa barbetta posta propria sotto il mento, lunga solo pochi cm in estate, ma che nei mesi invernali arriva anche alla lunghezza di 10-15 cm, conferendo agli stessi un aspetto assai bizzarro.

ABITUDINI E COMPORTAMENTO
Tipico abitante dei picchi rocciosi e delle praterie d’altitudine, lungo il corso dell’anno lo stambecco effettua alcuni spostamenti, dettati dalle stagioni e dalle condizioni atmosferiche, sempre alla ricerca di pascoli ottimali. Mentre d’estate rimane ad altitudini comprese fra i 2000 e i 3000 mt, durante la stagione fredda scende a quote più basse ma raramente, e solo in inverni particolarmente lunghi e rigidi, possiamo osservarlo sotto i 1800 mt di quota.

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Spostandosi in altitudine durante le stagioni, lo stambecco cambia di conseguenza anche il regime alimentare; egli si nutre quindi di quasi tutte le piante presenti in montagna, dai muschi e licheni delle alte quote sino ai piccoli arbusti e ai giovani alberelli delle quote più basse. Animale essenzialmente gregario, lo stambecco vive in branchi che, escluso il periodo degli amori, sono formati da individui dello stesso sesso.

I maschi, compiuti i 3-4 anni di età, formano dei gruppi anche molto numerosi. Anche le femmine si radunano in branchi, in particolare d’estate, dopo le nascite. Oltre alle madri ed ai nuovi nati, di questi gruppi fanno parte anche le femmine senza capretti e i giovani maschi, i quali abbandonano i gruppi femminili soli dopo i due anni. A rimanere solitari sono solo generalmente i vecchi maschi sopra i 10-12 anni d’età, i quali preferiscono condurre una vita solitaria. A fine Novembre inizia il periodo degli amori.

Maschi, femmine e giovani si radunano in gruppi unici e tra i maschi la gerarchia si fa più rigida. Il maschio dominante difende il suo harem da eventuali intrusi in genere senza bisogno di scontri, quando però la lotta diventa inevitabile i maschi si affrontano in epici duelli a colpi di corna che possono protrarsi anche per diverse ore. Il rumore delle corna che si scontrano violentemente è udibile anche a molta distanza e rimane uno degli spettacoli più affascinanti che la natura può donarci.

Dopo una gestazione di cinque mesi e mezzo, le femmine gravide partoriscono in genere un solo piccolo il quale, entro breve tempo, dimostra subito le sue doti d’arrampicatore seguendo la madre anche lungo impervi e pericolosi dirupi. L’inverno e le malattie costituiscono per lo stambecco i momenti di più alta mortalità. Inverni particolarmente rigidi possono causare vere stragi tra la popolazione, così anche le malattie che in certi casi riescono, in pochi anni, a ridurre intere popolazioni di stambecchi a pochi e spauriti esemplari.

A parte questo, l’unico nemico naturale, dopo la scomparsa dalle Alpi della lince e del lupo, rimane l’aquila la quale, però molto raramente, riesce a catturare qualche piccolo.

UN’OCCHIATA OGGI IN CASA NOSTRA

Lo stambecco in provincia di Belluno arriva nell’anno 1965, grazie all’introduzione nella zona di Croda Martora Marmarole di 10 capi provenienti da Pontresina – CH. Successivamente, a metà degli anni 80, altri 8 esemplari provenienti dalla stessa zona furono rilasciati in località Croda del Becco dove, nel frattempo, erano migrati spontaneamente alcuni esemplari provenienti dalla prima zona di lancio.

Da questo gruppo, che in poco più di vent’anni raggiunse la consistenza di oltre 500 capi, si ebbero delle migrazioni spontanee di quasi un centinaio di individui prevalentemente verso il massiccio del Sella. Per quanto riguarda i territori confinanti con il bellunese, vanno sicuramente segnalate le introduzioni effettuate negli anni 2000-2002 nel territorio Trentino delle Pale di S. Martino di 30 esemplari provenienti dalle Alpi Marittime. L’intera popolazione alla fine degli anni 90 aveva raggiunto una consistenza di oltre 1000 capi.

Purtroppo, la ben nota epidemia di rogna sarcoptica che, nelle zone colpite, ha decimato il camoscio, ha avuto una forte ripercussione anche sulla specie stambecco, riducendone in pochi anni il numero a poco più di 300 esemplari (dati del 2009). Attualmente le riserve interessate dalla presenza della specie sono quelle che gravitano sul gruppo della Marmarole-Antelao-Sorapiss e della Marmolada; inoltre, ai confini provinciali, quelle interessate dai nuclei del Sella, Croda del Becco e Pale di S. Martino.

Nel 2010, il Parco delle Regole d’Ampezzo (Cortina) ed il Parco di Paneveggio-Pale di S. Martino hanno avviato due progetti di reintroduzione e di rinforzo delle rispettive colonie. Per quanto riguarda Paneveggio, sono stati catturati 5 mm e 5 ff dalla popolazione bellunese delle Marmarole.