NEL TURBINIO D’ALI E PIUME

caccia al colombaccio

Seguire il mio istinto, quello della caccia, mi porta da sempre a scoprire l’essenza dell’uomo e il suo ingegno che applica nel suo continuo cercare di primeggiare sulle altre cose del creato.

E questo suo continuo migliorarsi lo porta a perfezionarsi sistematicamente nelle armi, nelle munizioni e nelle tecniche venatorie, sperimentando e consolidando, senza mai dimenticare tradizioni e rispetto degli ambienti che lo ospitano. Questi concetti non sono più da scoprire, eppure il mio girovagare inseguendo la passione mi ha portato nelle Marche, ad accettare l’invito di due amici Claudio e Fabio Volpi, membri assennati del più intrigante Club del mondo, quello del Calibro 16, per cimentarmi nella “mio battesimo” nella caccia al passo alle palombe e trovare nuovi contenuti da aggiungere al mio personale “libro della caccia”.

L’arrivo che ha ampiamente preceduto l’alba, non mi ha fatto apprezzare in che contesto ambientale mi ero andato a cacciare e solo dopo, quando i timidi raggi di un sole che ci avrebbe regalato una magnifica giornata hanno iniziato a disegnare i contorni dell’anfiteatro in cui mi trovavo, la visione paradisiaca si è fatta pian piano strada in me.

L’Appennino, che rilevo freddamente nelle cartine stradali, ha in quel luogo magico la sua massima espressione e grazie al concorso del sole realizza giochi di luce variopinti non accessibili a nessun pittore. Le foglie, che qui in ottobre abbracciano gran parte della scala dei colori, danno il senso della sfida continua, ove le varie tonalità del verde combattono una lenta quanto inefficace battaglia di retroguardia contro l’avanzare del marrone e del giallo.

Sui contrafforti che identificano il confine con Umbria e Toscana, qua e la macchie di un verde intenso di zone di conifere, sembrano sfuggite dalla tavolozza del pittore che da distribuito sul resto del quadro tutte le tonalità di marrone conosciute. E’ uno spettacolo mozzafiato e come ricorda Claudio, un quadro che cambia quotidianamente, un quadro esigente che mai potrai mettere in camera; per ammirarlo dovrai salire sin quassù ed ogni volta sarà diverso. Questo è lo scenario che non ti immagini nel quale un uomo, un cacciatore, ha l’ambizione di dar sfogo alla sua passione di far carniere, ma in qui il far carniere diventa assolutamente secondario, c’è ben altro a deliziare l’occhio e l’anima.

caccia al colombaccio

La caccia, come si chiama nel centro Italia, ossia l’insieme dell’organizzazione strutturale formata da capanni,ambientee uomini, è ospitata in una scoscesa e secolare faggeta, fatta di alberi che da tempo immemorabile si combattono l’un l’altro per primeggiare alla ricerca della luce e qui ha un preciso nome “CACCIA I CAPPELLONI”.

Qui uno stanzialista come me, abituato a seguir da solo il cane, riscopre elementi delle caccie d’altri tempi, scanditi da una socialità e da un organizzazione ove nulla si lascia al caso ed ove i singoli componenti della “squadra”, sanno interpretare i ruoli ed i riti come in una impegnata esibizione teatrale. E così ritrovi tutti i personaggi che sono cari alla letteratura venatoria in un solo efficace quadro venatorio: qui c’è il gran tiratore, il grande fortunato, l’eccelso avvistore, il simpatico guascone, il contabile, il mirabile addetto ai volantini, l’esperto degli zimbelli (che qui si chiamano “palpe”) il fantastico cuoco; una miscellanea di caratteri ed abilità tutte funzionali ad una caccia così affascinante e rituale come quella ai colombi, che si ritrovano inesorabilmente, vada come vada, nel cuore pulsante di questo fantastico insieme: nella casa di caccia, davanti al focolare per l’immancabile rito delle celebrazioni e degli sfottò.

Ospite del capanno di Claudio lo seguo affannato lungo il difficile pendio fin sotto il maestoso faggio che lo ospita, e salito in cima con un buon carico in spalla, lungo la scoscesa scala che mi innalza altri 20 metri dal paradiso entro a far parte per un giorno di quell’immenso, ineguagliabile quadro. Mi sforzo di paragonarlo a qualcosa di ben fissato nella mia mente, ma anche la Cappella Sistina che così tanta ammirazione aveva suscitato in me qui mi pare poca cosa. Li aveva agito un grande artista, qui ha operato qualcuno ben superiore!

Claudio mi parla della storicità del luogo, di come sia rimasto così immacolato, di come sia così ambito da tutti coloro che amano veramente immergersi nella natura e ricevere da essa i giusti doni, selvaggina, tartufi e funghi che siano. Le sue parole scorrono lente e serafiche finche bruscamente il nostro reciproco sussurrare è interrotto da un unico grande grido che da più capanni riecheggia nella valle “Colombe … Colombe”!!

Seguono grida di indicazione, sulla provenienza, la direzione e la quota. I volteggi dei volantini chiamati al lavoro seguono traiettorie allenate da decenni e d’improvviso il capanno ove mi trovo è travolto da un turbinio d’ali e piume che mi lascia esterrefatto. La valle così quiete, s’accende all’improvviso in urla e spari, travolta da una eccitazione trasmessa da uomo a uomo che di sicuro in me ha l’unico effetto di aiutarmi a sbagliare. E di tiri ne sbaglierò tanti durante la giornata, ma c’è sempre un’altra occasione perché il paradiso oltre agli uomini piace anche alle colombe e li il destino ha deciso da tempo immemore di farli incontrare.

La mia adrenalina volta alla ricerca della concentrazione ed alla mira è impotente di fronte a branchi enormi in migrazione che mi avvolgono quasi a portarmi via, sembra facile far carniere nella moltitudine, ma è tutto il contrario ed i branchi che si succedono scompaiono oltre i crinali a gran velocità per dar soddisfazione o fregature più in la ad altri cacciatori e ad altre caccie, continuando a dar seguito alla loro rotta millenaria. Qui la selezione naturale è grande, solo i più abili saranno premiati nelle loro stoccate dalla cattura dei colombi ma come nella essenza delle caccie sociali, il risultato della giornata sarà sempre comune e nessuno sarà messo al bando per aver raccolto meno di altri.

E’ il rito più bello della caccia di gruppo, quella che negli antichi significava far proteine per il villaggio e che per noi moderni significa condividere al massimo livello la socialità. La giornata che passa inesorabile cambia i colori dell’anfiteatro, quelli degli attimi passati scompaiono inesorabilmente e la memoria fatica a contenere tutte le visioni della giornata.

Ma non fa niente, ci saranno altre occasioni, altre visioni paradisiache, altre scariche di adrenalina ed altri momenti da vivere in questa splendida compagnia di uomini, alberi e colombe. La luce del sole mi lascia di nuovo alla notte che mi aveva portato li alcune ora prima e il ritorno a casa consapevole di aver vissuto attimi fantastici in grado di alimentare il sacro fuoco della passione che arde dentro ognuno di noi. L’ora di viaggio che mi separa da casa è corta, troppo corta, per rielaborare tutto quello che ho vissuto in giornata, ma sufficiente ad ospitare e scegliere le sensazioni da scrivere nel mio personale libro della caccia!

Riccardo Ceccarelli