Il cielo grigio e plumbeo non aiuta ad essere ottimisti. Da ieri piove incessantemente, e come avviene in questo periodo l’amata ed odiata pioggia continuerà a cadere anche per tutta questa giornata, uniformando ed avvolgendo tutto quello che ti circonda.
L’inizio di novembre è stato sempre sotto l’influenza dei venti da sud, che la fanno da padrone nei giorni dedicati alla visita ai defunti, quasi ci fosse una regia occulta che orchestra gli eventi atmosferici, coordinandoli con la mestizia di quei momenti dedicati alla spiritualità.
Le nuvole portate dal libeccio, scorrono veloci sino a quando non decidono che è ora di fermarsi per liberarsi di quel peso che nascondono.
Sei in pieno conflitto con te stesso, rinunciare ad uscire, e tornare a letto, oppure tentare e sperare in uno spiraglio tra quelle nuvole nere e cariche d’acqua? Nel frattempo che cerchi di darti una risposta, il borbottare della caffettiera e l’aroma che si sprigiona riempie tutta la stanza, ti siedi e sorseggi il tuo caffè bollente, cercando di non pensare a nulla, ma non puoi perché la tua mente è come quella caffettiera, sbuffa e borbotta.
Quando non eri informato minuto per minuto sugli sviluppi del tempo, ti dovevi anche affidare all’intuito, ed al tuo bagaglio di esperienza che altro non è che il risultato di tante volte in cui sei rimasto fregato da quella pioggia incessante che ti penetrava nelle ossa sino a quando dicevi basta e tornavi sconfitto al caldo di un fuoco.
Eppure, anche quando le previsioni non lasciano speranza, sei lì, dibattuto dal desiderio di tentare la sorte. La tua fedele cagnetta, sempre al tuo fianco, ti guarda ed aspetta da te un segnale, anche lei è pronta e consapevole che sarà dura.
La tentazione è forte, ti affacci per l’ennesima volta e credi che tra le nuvole faccia capolino un chiarore, ti illudi e quando sei già fuori è di nuovo buio. Dio mio come viene giù.
Ma non ti dai per vinto e sfidi le intemperie, anche perché gli storni continuano a sfrecciarti sopra la testa, incuranti di tutto, anche di qualche tuono. E se lo fanno loro?
Ti ritrovi in mezzo ad uno scenario quasi irreale, piantato lì, al riparo di un albero di fico, con le canne del fucile rivolte verso terra per non farvi entrare l’acqua, con lo sguardo sempre alla ricerca di qualche avvistamento che giustifichi l’incoscienza, ma anche gli storni sono spariti. Loro si che sono intelligenti!
Altre volte con la pioggia, ti sei incontrato con un passo incessante di allodole, tordi e storni, e non sentivi certo l’acqua che ti penetrava nelle ossa sino a quando non facevi ritorno alla macchina, e lì ti scappava la solita esclamazione: “Ma siamo pazzi, qui si rischia di prendere un malanno!”
Una foglia, che non regge più al peso della pioggia raccolta, ti da il colpo finale versandoti sul collo quell’elemento gelido che ti arriva alla schiena e non conosci più il senso dell’asciutto.
L’ennesima fregatura, sei fradicio dalla testa ai piedi, la setterina sembra un cencio bagnato, perché continuare a soffrire? Ti convinci che hai tentato, ma ciò non ti consola di certo. Butti tutto l’armamentario disordinatamente nel bagagliaio, asciughi come puoi la cagnetta tua complice, il fucile e vai.
Dovresti essere triste, eppure come per esorcizzare quell’ennesimo insuccesso, la tua mente, che non ha resistito alla tentazione di quell’uscita a vuoto, non disdegna l’idea di rifocillarsi in quella piccola osteria, vicino al cimitero di Condera, dove quella donnina, “comare Vita”, cucina ancora “i pizzateddi’”, le focaccine di farina di mais farcite con le cicciole, accompagnate da un buon bicchiere di rosso. Un’altra tentazione!
E lì ritrovi chi come te non è riuscito a frenarsi ed ha sperato in un’esaltante giornata di caccia, e così viene messo in scena il rito dello scambio di pareri, supposizioni, verità ed ultima la rassegnazione, solo per quella giornata però, perché già i discorsi vanno a domani, che tutti giurano essere una bella giornata. Beh, se vogliamo trovare qualcosa di buono in una giornata storta, forse ci siamo riusciti.
Carmelo Chirico
“TENTAZIONI” di Carmelo Chirico
NON POSSO RINUNCIARE! di Riccardo Turi
Nel febbraio di 40 anni fa (1969) nel nostro paese, Fasano di Puglia, era il periodo della mania collettiva di praticare la caccia alla beccaccia all´aspetto, sia la mattina che la sera. Era diventata una malattia che aveva contagiato tutti e la sera, sotto i monti, sembrava di essere alla Fiera del Levante (quella che si tiene a Bari a settembre), termine che da noi si usava per dire che in un posto c´era tanta confusione.
Dunque, la pineta di monte Guarini, proprio sopra il paese e dove oggi c´è la Zoosafari, era “piena di beccacce”. In verità praticare lì la caccia con il cane era abbastanza problematico, dato che la pineta è in salita e con pendenze non idifferenti, tanto che rare volte avevo visto cacciatori di beccaccie con i cani.
Alle 16,30 è l´ora “X” perchè bisogna occupare i posti migliori in attesa delle beccacce che escono immancabilmente alle 16,55!
Alle 15,30 ecco ricevo una telefonata dalla mia fidanzata Lia che mi invita ad una festa di carnevale a Bari; lei mi aspetta alle 17,30 perchè dobbiamo andare insieme a fare degli acquisti. Non posso esimermi dall´andarci, ma non posso nemmeno rinunciare alla posta alla beccaccia.
Alle 16 mi vesto di tutto punto con giacca, cravatta e soprabito scuro con il collo di velluto e con questo abbigliamento mi presento alle 16,30 sotto la pineta con la mia Fiat 500, il mio Breda e una decina di cartucce.
Risata generale degli amici che mi vedono arrivare così “conciato”, che però muore loro sulle labbra dato che sono l´unico di tutti i presenti che riesce a prendere la beccaccia.
Con la doppia soddisfazione di aver preso la beccaccia e di averli fatti crepare d´invidia, mi avvicino alla mia Fiat 500L avorio targata BR 67095, smonto il mio Breda e lo metto nel portabagagli insieme alla beccaccia e, dopo averli salutati, prendo la strada per Bari dove sarei arrivato in orario e dove la mia fidanzata non avrebbe sospettato nulla, dato che fra lei e la caccia non è mai corso buon sangue che continua ancora oggi che è mia moglie da 35 anni!
Riccardo Turi
ALLEVAMENTO: FRA LEGISLAZIONE E PURA PASSIONE di Pietro Pottino
La detenzione dei rapaci è regolamentata dalle norme internazionali descritte dal Cites (Convenzione internazionale delle specie flora e fauna minacciate di estinzione).
Chi si accinge a detenere e, quindi, praticare la falconeria deve conoscere alla perfezione le leggi che la regolamentano.
Si parte dal presupposto che i Rapaci, in genere, sono specie minacciate.
Cosa che in alcuni casi è vera. Ma, vero o no, a noi interessa sempre e in ogni caso rispettare le norme, in quanto queste nascono da necessità ambientali e di conservazione del patrimonio faunistico di determinante importanza.
Diciamo che il falco da falconeria si muove, viaggia sempre in compagnia del suo “passaporto” o documento di identità chiamato appunto Cites, nel quale si rileva prima di tutto l’allevamento in cui è nato, la data di nascita, il numero dell’anello inamovibile che a suo tempo è stato messo dall’allevatore nei primi 10 giorni di vita, in quanto la nascita va denunciata al servizio Cites, e non oltre, il decimo giorno
Gli allevatori sanno tutto questo alla perfezione anche perché non rispettare tali regole significa andare incontro a elevatissime sanzioni, in qualche caso anche penali, e non essere più autorizzati a potere allevare in cattività.
Il corteggiamento inizia spesso da entrambi, maschio e femmina. Il maschio nei primi mesi invernali comincia a “schioccare”, emette cioè delle forti vocalizzazioni di richiamo dette appunto “schiocchi”, per attirare l’attenzione della femmina. Compie evoluzioni di volo in aria per dimostrare la sua abilità e offre alla sua partner del cibo.
Essa solitamente non rifiuta in quanto, per trovarsi in quella situazione, ha già praticamente scelto il suo compagno; accetta di buon grado, si mostra favorevole all’accoppiamento, emettendo vocalizzazioni e assumendo atteggiamenti del corpo che dichiarano apertamente le sue buone intenzioni. Abbassa la testa, alza la parte posteriore del suo corpo e cosi avvengono le prime copule che da lì a circa un mese daranno origine alla deposizione delle uova che possono essere da 1 a 5.
Anche durante le prime deposizioni avvengono gli accoppiamenti e il maschio continua a corteggiare, non facendo mai mancare il cibo al nido.
Nei giorni che precedono la deposizione, la femmina cade in una fase di inattività, data probabilmente da sbalzi ormonali, chiamata “letargia da deposizione”. Sembra quasi malata, si muove poco, è goffa e stanca..
Questo atteggiamento passa dopo pochi giorni, quando riacquista quindi l’attività covando e stando sempre allerta nella difesa del suo nido.
La vera incubazione inizia quasi sempre dalla deposizione dell’ultimo uovo. Le prime uova sono effettivamente incubate dopo tre, cinque o sei giorni. La durata è di circa 32 giorni. Questa è più o meno la media dei grandi falconi, in quanto a seconda delle specie e di fattori atmosferici può variare dai 31 ai 36.
La schiusa è qualcosa di veramente emozionante se si ha la fortuna di poterla seguire con una telecamera appositamente posta sul nido della voliera. In qualche caso la madre aiuta il piccolo nascituro nella rottura del guscio.
Il nuovo nato è completamente inattivo, debole e dipendente dalla madre.
Il maschio si occupa di spiumare il cibo e portarlo al nido. Alcune volte dopo alcuni giorni di vita, si occupa anche lui dell’imbeccata, ma il suo compito principale è quello della difesa. E’ sempre molto attento e si pone in posatoi dai quali ha un totale controllo della situazione.
La crescita dei pulli è velocissima se si pensa che da circa 30-35 grammi del primo giorno, arrivano in 60 giorni a pesare circa 1 kg. Naturalmente dipende dalle specie..
A questa età sono già completamente indipendenti, in grado di cibarsi da soli, ma non di cacciare.
In natura questa età segna l’inizio dell’addestramento che viene fatto da parte dei genitori, soprattutto dalla madre, la quale li richiama al volo facendoli assistere alla caccia, lasciando che afferrino prede tramortite, quasi vive e continuando così per circa due mesi fino a quando diventano anche loro abili cacciatori.
Pietro Pottino
Allevatore, addestratore e selezionatore
Rapaci da Falconeria “Sparacia”
www.allevamentosparacia.com
rapax@neomedia.it

ULCINJ di Riccardo Turi
Nel novembre 1978 eravamo stati a caccia in Montenegro, anche se con scarsi risultati. Due anni dopo e precisamente nel dicembre 1980, partiamo da Bari in 3: Giammario (Beghelli) con il padre Colonnello dei Carabinieri in pensione ed io.
Sul traghetto facciamo conoscenza con altri 3 cacciatori delle nostre zone. Noi andavamo ad anatre, loro a beccaccie. Pertenza la sera alle 8 da Bari con il traghetto Svjety Stefan (per la cronaca, orrendo!) con destinazione Bar in Montenegro, anche se allora era tutta Jugoslavia.
La mattina alle 7 siamo a Bar e con la 127 bianca di Beghelli di dirigiamo ad Ulcinj dove ci attende il nostro accompagnatore. Arrivati ad Ulcinj, Hotel Olimpic, del nostro uomo non c´è traccia. Gironzoliamo attorno all´albergo che è circondato da pozzanghere di pioggia, piccoli canali e vere e proprie paludi.
Si alzano continuamente beccaccini e ad un tratto penso proprio di prendere il fucile. A breve distanza vedo un piccolo campo di calcio allagato e mi dirigo decisamente. Dentro un piccolo boschetto che devo attraversare alzo una beccaccia, mentre nel campo ci sono numerosi pivieri e pavoncelle.
Fremiamo d´impazienza, ma è soltanto verso mezzogiorno che si fa vivo Zeko, il nostro accompagnatore. Finalmente ci conduce in una vicina palude, però ci dice che anatre ce ne sono poche. Ci appostiamo in questa palude. In effetti le anatre latitano; pochi voli di germani ma tutti lontani, qualche branchetto di alzavole e pochi fischioni.
Mi sono appostato appena sotto un piccolo argine ma sono scettico. Improvvisamente una femmina di mestolone mi arriva a tiro e la abbatto con il mio Breda e le MB Tricolor. Ad un tratto scorgo 3 chiurli che sembrano venire a tiro. Cerco di nascondermi il più possibile e quando sono a distanza giusta mi alzo per tirare.
Al primo colpo fulmino il primo, con il secondo fulmino l´altro e con il terzo colpo prendo anche il terzo uccello ma non in modo definitivo. Abbassandosi sempre di più andrà a cadere molto lontano in un punto irragiungibile. Aspettiamo fin quasi a buio e poi torniamo in albergo. Il risultato è assai scarso: in carniere soltanto i miei due chiurli ed il mestolone.
La mattina seguente una spiacevole sorpresa: il colonnello sta poco bene e quindi rinuncia, Giammario rimane col padre ed io rimango all´asciutto. Sono molto nervoso per l´inattività e vorrei andare da qualche parte, anche se la sera alle 20 (è domenica!) dobbiamo prendere il traghetto per il ritorno.
Allora mi aggrego a due vicentini che andranno ad anatre nel pomeriggio con un altro accompagnatore e mi faccio spiegare bene la casa di quest´ultimo dato che l´appuntamento è lì per le quattordici. Quando arrivo alle 13,30 stanno tutti mangiando un intruglio di carne e verdure che naturalmente rifiuto avendo già pranzato.
Finalmente l´abbondante pranzo ha termine e ci avviamo al posto di caccia. Mi fanno sistemare in un posto che mi sembra buono e poi ognuno va per conto proprio. All´imbrunire mi arriva un bel germano che non ho difficoltà ad abbattere, poi nient´altro. Quando ormai è buio e non si vede letteralmente niente cominciano i fischi sulla testa e gli spari dei miei amici: ma come cavolo fanno a vedere?
Ad un tratto un´ombra, ma solo un´ombra ed istintivamente sparo; sarà un fischione che non aveva la testa e che avrei recuperato a fatica con la lampadina! Dopo una buona mezz´ora si ritirano anche gli altri che all´oscuro avevano sparato abbastanza ma con scarsi risultati. La spedizione è stata tutto sommato una delusione; soltanto il mio carniere costituito dal germano, il mestolone, il fischione senza testa e 2 chiurli.
E´ stata l´ultima volta che siamo andati a caccia fuori dei confini e fino ad oggi non ci abbiamo riprovato. Tuttavia, nonostante il risultato negativo, è stata un´esperienza esaltante perchè abbiamo conosciuto posti davvero bellissimi.
Riccardo Turi
ALTRI TEMPI di Piergiorgio Meacci
Questa poesia, regalataci dal grande amico umbro Piergiorgio Meacci, Federcacciatore e Guardia Venatoria, che alla caccia si dedica da sempre con grande volontà ed infinitapassione, ci indica una strada da percorrere…
…il rispetto per la vita e per la selvaggina vinta, l´amore dignitoso, fieroe senza fronzoli per le cose semplici, devono sempre far parte di noi stessi, oggi come ieri, per poter veramente essere degni di un mondo, quello più silenzioso ed intimo, in cui è ancora possibile vivere…
Grazie Piergiorgio!
da tutto LoStaff
“….Io cacciatore, mai restai colpito da una immagine così remota.
La mia passione si inorgoglisce nel vedere codesta.
Vorrei tornare indietro nei tempi, per viverla insieme a coloro che, dal mattino hanno vissuto una così meravigliosa giornata, li vedi, sono appagati con la loro preda senza fronzi ma puri, fieri, rudi ma composti con rito e rispetto appoggiarono in sella la sovrana.
Un lui le tiene in mano la zampa come volesse trasmetterle ancora vita.
Lì si intravede il fedele amico che non infierisce, esausto gode il meritato riposo.
Oggi come ieri nel silenzio e nel rispetto dobbiamo essere uguali….”
Piergiorgio Meacci
ENCI: REGOLAMENTO DELLE PROVE PER I CANI DELLE RAZZE DA FERMA
Tratto dal sito ufficiale dell´ENCI www.enci.it
L´ENCI, a seguito dell´approvazione da parte del Consiglio Direttivo del 17 febbraio 2009 e su parere conforme della Commissione Tecnica Centrale del 13 novembre 2008, ha pubblicato il “Regolamento delle prove per i cani delle razze da ferma“.
Esso entrerà in vigore dal 1 luglio 2009.
Per scaricare il “Regolamento delle prove per i cani delle razze da ferma” cliccare quì.
IL SEGUGIO MAREMMANO, UN CANE ATTUALE di Sergio Leonardi
Il Sig Sergio Leonardi, autore del libro “Conoscere il Segugio Maremmano“, ci regala, grazie alla sua esperienza sul campo quale Giudice Federale Fidc, Fidasc e Pro Segugio, tutta la sua amplissima conoscenza in merito a questa razza, nuova e antichissima al contempo.
Ma la sua non è solo una rigorosa trattazione dei fatti; le sue parole ci appaiono, infatti, come un atto dovuto e un´appassionata enunciazione del suo grande amore nei confronti di questo stupendo animale, per troppo tempo relegato a non-razza.
Per questo ringraziamo sentitamente Sergio Leonardi, la cui voglia di collaborare alla funzione divulgativa del nostro sito è per per noi grande motivo d´orgoglio.
IL SEGUGIO MAREMMANO, UN CANE ATTUALE
Per tutti coloro che negli anni hanno creduto nelle qualità venatorie del Segugio Maremmano, l’ufficializzazione della razza è un evento atteso e plaudito.
Si sta coronando un percorso che nessuna razza ha mai dovuto affrontare; i primi raduni fatti addirittura risalgono al lontano 1992 ad Istia d’Ombrone, organizzati e voluti da Mario Quadri, Sestilio Tonini, Giuseppe Quinzanini.
Come già espresso in altre occasioni, sottolineo come molte razze di cani si avvalgono, nell’espressione del suo nome, l’appartenenza della terra d’origine.
Il Segugio Italiano, ad esempio, abbraccia tutta la nostra penisola; il Cirneco dell’Etna si porta dietro la sua provenienza, originaria della Sicilia, e giunse probabilmente dalla Cirenaica (di cui il nome).
Altre razze, sempre restando tra i cani da seguita, hanno nel nome la loro provenienza, tanto per citarne alcuni, a partire “dai Francesi” Griffon Fauve De Bretagne, Griffon Bleu de Gascogne, Briquet Griffon Vendèen, ecc…Ed altri Segugio del Bernese, dell’Istria, della Westfalia, di Hannover, di Lucerna; ognuno si distingue per la sua conformazione morfologica strutturale e doti venatorie, coniate, plasmate in conformità dell’esigenza del suo territorio.
Dante Alighieri (Inferno canto XIII, 7) ne individuava i confini tra Cecina (Toscana) e Corneto (Lazio), la descrive caratterizzata da una vegetazione a macchie, d’arbusti bassi e irti, un’immagine aspra e selvaggia..
Il nome Maremma, deriva, per alcuni studiosi, dal latino maritima, per altri dallo spagnolo marismas che significa palude; in effetti, è verosimile il secondo poiché è stata una zona paludosa, dura da viverci, dove regnava la malaria, la miseria, il brigantaggio; tra le poche risorse di sopravvivenza la caccia, per l’abbondanza di selvaggina d’ogni specie.
E’ uso esprimersi dicendo Maremma quando invece questo territorio si suddivide in tre: la parte Livornese /Pisana a nord detta Alta, la centrale identificabile con la provincia di Grosseto, la parte Laziale a sud detta bassa Maremma, in questo contesto nasce e s’identifica il nostro soggetto.
Vive ed onora, con il suo lavoro, case di contadini, in seguito di mezzadri, gente che si nutriva del proprio lavoro, un guadagno strappato alla terra, non la loro ma di nobili casati quali: tra le più grandi, quella della Marsiliana, del principe Corsini, quella di Donoratico dei conti della Gherardesca, la più antica e romantica perché legata a Dante e a Carducci, altre, dei Guglielmi, dei Grottanelli.
Casati illustri che hanno fatto la storia delle Maremme, in parte anche dell’Italia, ed ancor oggi danno lustro al territorio.
Il segugio maremmano ha affinato le sue doti e per citarne alcune, le più classiche, la cerca, l’accostamento, l’abbaio a fermo, la seguita, cacciando in un contesto boschivo per lo più costituito da macchia mediterranea, fitta e impenetrabile, habitat preferito dal cinghiale, congeniale per all’estrarsi, partorire, difendersi.
Il folto del bosco ha affinato la dote dell’abbaio a fermo, il cane è obbligato a lavorare di fiuto e di riflesso, in presenza ravvicinata del cinghiale emette voce, consapevole della presenza e quanto più il cinghiale, protetto del fitto, è sicuro di se stesso sta in guardia aspettando il momento propizio per colpire, tanto più il Maremmano abbaia con buon tono di voce e nei soggetti in cui questa dote è ben fissata si possono notare raddoppi che si alternano ai toni normali, è questa la sua qualità di spicco.
Sergio Leonardi
Per maggiori informazioni sull´autore visitate il sito:
http://www.maremmanoesegugi.it/
… e presto Leonardi tornerà a parlarci del Segugio Maremmano per approfondire la nostra conoscenza in merito alle sue modalità di caccia, morfologia, comportamento…
GARE COL CANE DA FERMA E SPANIELS: LO STANDARD DI LAVORO DEL KURZHAAR di Angelo Di Maggio
Questo articolo è estrapolato da “Gare col Cane da ferma e Spaniels”, testo prodotto e gentilmente messoci a disposizione dal Sig Di Maggio Angelo, Giudice Cinofilo e grande appassionato di caccia; egli, grazie all’esperienza acquista sul campo quale giudice della Libera Caccia, ha giudicato e giudica in gare organizzate da qualsiasi “associazione venatoria” che da questa sia chiamato a farlo.
Tutto il materiale concessoci, evidente frutto di cultura del settore ed esperienza sul campo, è della lunghezza complessiva di circa settanta pagine; pertanto, per motivi legati ai limiti che inevitabilmente la lettura in video ci pone, abbiamo deciso di proporlo suddiviso per argomenti, cercando di mantenere continuità di contenuti, per renderlo più usufruibile da parte di tutti gli operatori del settore, aspiranti giudici, delegati cinofili o semplicemente appassionati del magnifico mondo delle gare cinofile.
Al termine delle pubblicazioni, che si susseguiranno settimanalmente, provvederemo ad unire tutti i singoli articoli pubblicati, in un unico testo, scaricabile in pdf dalla sezione “Cinofilia”, che ciascuno potrà stampare e tenere come manuale completo ed esaustivo, da consultare in qualsivoglia occasione.
GLI STANDARDS DI LAVORO
Il kurzhaar
Sta nel quadrato.
E´ un mirabile cane che nel suo lavoro, a seconda del terreno, fonde ed armonizza i pregi delle razze inglesi con quelli delle razze continentali, pur conservando una fisionomia propria ed una spiccata personalità.
Coda portata leggermente in basso con movimento orizzontale, continuo e vivace.
Cerca diligentissima e molto ampia a diagonali rettilinee e ravvicinate.
Quando, durante questa fase, ha l´errata impressione del selvatico, rallenta gradatamente l´andatura portandosi al trotto, orecchie erette, collo proteso; rimonta la sorgente di emanazione con leggera inflessione degli arti, incrociando serrato e attentissimo.
Superata l´incertezza, riprende deciso l´andatura abituale con scatto quasi rabbioso.
L´azione subisce un freno graduale per cui, sollecitamente, passa dal galoppo al trotto quindi, dopo qualche tempo di passo, essa si conclude nella immobilità assoluta.
Testa alta, canna nasale sulla orizzontale, orecchio retratto, occhio ardente, collo tutto fuori. Corpo flesso sugli arti con un anteriore generalmente più avanzato e i posteriori molto flessi; talvolta il corpo è eretto e frequentemente uno degli arti sollevato.
Quando è certo della presenza del selvatico, con immediata contrazione abbassa il corpo sugli arti flessi, testa alta, collo proteso, procede cauto ma deciso, aspirando fremente l´effluvio, talvolta ferma di scatto.
Se d´improvviso si trova a ridosso del selvatico, ferma con scatto rabbioso, testa leggermente sotto l´orizzontale, rivolta verso il selvatico, corpo rigidissimo in posa contorta, coda adeguatamente sopra la linea dorsale.
Vi è della bellezza nelle sue ferme, una bellezza senza eccessiva teatralità anche nelle più disparate pose, perchè il suo cervello è un sagace regolatore.
Di ciò ne fa fede l´espressione dell´occhio che denota perfetta padronanza della situazione.
Giudice di Gara Angelo Di Maggio
Nel prossimo articolo: GARE COL CANE DA FERMA E SPANIELS: LO STANDARD DI LAVORO DEL BRETON
REGINA CON LE ALI di Renzo Stella
Ringraziamo con caloroso affetto l´amico Renzo Stella che, con la bellezza dei suo versi, ci regala ancora una volta la magia di una passione, la nostra comune passione.
Staff Cacciainfiera
Vorrei regalarvi questo modesto sonetto che ho buttato giù, ammirando il volo di una beccaccia che mi è partita dai piedi domenica scorsa, mentre passeggiavo sul monte vicino casa; nonostante resistano ancora piccole chiazze di neve gelata.
Così bella, imponente nel suo essere piccola di statura, meravigliosamente disegnata da madre Natura, stupenda nel suo volo.
L’avere tutto il tempo di ammirarla mi ha fatto bene al cuore e all’anima.
Così fantastico il suo essere fantasma, da cercare in compagnia del nostro ausiliare.
Così appassionante la sua caccia, fatta di silenzio, di sacrificio, di etica.
Meravigliosamente bella la febbre che ti assale cercandone la presenza, spero che mai ne trovino rimedio.
Bello ammalarsi di questo male.
Indimenticabile questo stupendo, fantastico, regale animale.
Un vero mito alato.
Rispettiamolo, sempre!
Lo dedico soprattutto, non me ne vogliano gli altri, a chi mi ha contagiato con questo benedetto virus, un amico beccacciaio e alla sua Alina ……
…e al mio Breton,compagno di avventure.
REGINA CON LE ALI
“…Foglia diversa, spettrale, dea della notte
Cavalchi da sempre le misteriose rotte
Nel luccicar di buio ti muovi silente
Saltando montagne, nel tuo volo radente
Fiumi, laghi e pianure e sperdute langhe
Negli occhi tuoi la notte che langue
Sulle tue ali stanchezza che afferra
Nelle tue penne il color della terra
Il sole ti guarda che arrivi e ti posi
Guardinga ascolti, affranta, muover non osi
Poi buchi la terra, energia dispendiosa
Cercandone carne lasciva e odorosa
Goffo il tuo incedere incerto, sempre uguale
Stridente alla bellezza del corpo tuo regale
Nel buio castello, dimora di spini
Umido giaciglio, che sian Lecci o ancor pruni
Umido è il bosco, umido e scuro
Nel castello dorato, ancorché sicuro
Verranno due occhi, che ti fisseranno
Sapranno cercarti, e ti troveranno
Vola Regina, vola suadente
C’è Il fuoco che brucia, ed il suono è imponente
Lascia alla terra il suo destino cercare
Vola Regina, come sol tu sai fare.
Spiega le ali, non farti sentire
Veloce e silente, devi partire
Abbandona l’aia, lascia il castello
Cerca la via, ne troverai di più bello…”
Renzo Stella
IL PRIMO COLOMBACCIO di Filippo Foti
Mortara, il mio paese natale, è incastonato in una vallata che si affaccia sul mare Jonio, da cui dista solo un kilometro, ed a monte protetto dalle prime maestose asperità pre-aspromontane, raggiungibili in 15-20 minuti di macchina ed a quei tempi rifugio di beccacce, tordi, coturnici.
A circa 150 metri da casa mia, verso nord, il Torrente Valanidi, arido per quasi tutto l’anno e solo in casi eccezionali percorso da acque torrenziali, per effetto di temporali ed alluvioni, è stato teatro e scuola della mia infanzia ed adolescenza per l’innata passione per la caccia, fomentata con tacito orgoglio da mio padre buonanima che mi ha trasmesso le prime nozioni di base nell’uso delle armi e del caricamento delle cartucce.
Il caricamento avveniva con metodi artigianali ed empirici ma efficaci, data l’assoluta mancanza di nozioni balistiche, e venivano tramandate da padre in figlio.
Lui che quando mi portava a caccia si vantava con i suoi amici di avere un figlio che era già una buona “doppietta” (forse esagerando un po’ da buon cacciatore, anche se un fondo di verità c’era), Lui che mi aveva inculcato il senso del rispetto e dell’onore verso gli altri cacciatori e della società in generale.
In direzione sud vi erano i “trapezi” dei piani chiamati così per la loro forma ed erano un declivio naturale verso il mare dove in primavera aspettavamo ogni genere di rapace, in particolare gli adorni (falchi pecchiaioli), oltre a quaglie e tortore ed in autunno tordi, beccacce, allodole, fringuelli, pavoncelle senza dimenticare i tanto ricercati beccafichi, mangioni di fichi di cui le nostre campagne ad agosto erano piene.
Sono cresciuto in questo contesto formato da una piccola comunità composta da non più di trenta famiglie, le cui case erano immerse in un enorme piantagione di bergamotto, unica risorsa e sostentamento, oltre all’allevamento di animali da carne ed alla coltivazione di ortaggi.
I miei divertimenti, dopo la scuola: la fionda da piccolo e da adolescente il fucile da caccia che mio padre già a 8 anni mi fece provare, tenendomi ben saldo, e trasmettendomi quella passione che sarebbe diventata come il sangue che scorre nelle vene.
Il sabato sera stavo a guardare mio padre che caricava le cartucce, aspettando con trepidazione la domenica mattina quando, dopo avermi svegliato con delicatezza, si partiva a bordo dell’APE a tre ruote, ed io per la felicità toccavo il cielo con le mani.
Finché, all’età di 16-18 anni cominciai a caricare da solo le cartucce per me e per lui e una volta che ebbi la patente di guida ero io che lo portavo a caccia.
A 18 anni la licenza di porto d’armi ed allora si che mi sentivo un uomo, prima con un cal.16 a cani interni che mio padre aveva portato dal Canada, poi con la sua doppietta cal.12 Vichers e la doppietta Bernardelli cal.20 S. Umberto 1.
In quella bella giornata di ottobre io ormai diciannovenne, come facevo spesso, caricavo cartucce e poi uscivo nel giardino o sul terrazzo a provarle. A quel tempo non c’erano le restrizioni di oggi, in più in quel piccolo borgo che era Mortara, eravamo tutti amici fraterni e parenti per cui uno sparo era una cosa normale e non infastidiva nessuno dato che quasi tutti possedevano un fucile e tanti erano cacciatori.
Salito sulla terrazza, con la doppietta cal.20 e le cartucce da provare, dominavo tutta la visuale degli agrumeti che incastonavano le case di Mortara, oltre a godermi lo spettacolo delle colline e del mare, in attesa di qualche fringuello o storno per provare l’efficacia delle cartucce.
Ed ecco che ad un centinaio di metri di altezza, davanti a me, un colombaccio che dal mare saliva verso le colline, comincia a fare dei larghi giri sugli agrumeti ed a ogni giro si abbassa sempre di più sino a posarsi nel folto degli alberi di bergamotto.
Non c’era nessuna speranza di poterlo insidiare dato che gli alberi di bergamotto sono bassi e fitti come un tappeto verde e nemmeno la luce riesce a penetrarvi, scesi di volata dal terrazzo e dopo avere preso al volo la cartucciera che tenevo ordinata con cartucce di diversa potenza, mi avviai verso il punto dove lo avevo visto posarsi.
Ero molto teso e pur sapendo che non sarei riuscito ad individuarlo, camminavo piano ed ansimavo con la speranza di intravederlo consapevole che in quelle condizioni non avrei avuto quasi nessuna possibilità di colpirlo ed al limite avrei potuto rovinare i rami di qualche bergamotto dato che toccavo con la testa i rami e non vi era nessuno spazio aperto per tirare.
Dopo avere girato per un po’ senza nessun risultato, mi fermai ricordando che lì vicino c’era un albero di fico alto 10-12 metri e su cui salivo spesso per gustare i suoi succosi frutti, ed ecco che scatta l’idea: “Se salissi sul fico e riuscissi a sistemarmi in modo da avere visuale forse riuscirei ad avere qualche possibilità di fregare il furbacchione”.
Detto fatto, messo a tracolla il fucile scarico, mi sono arrampicato sul fico sino a trovare un ramo robusto dove sistemarmi e dato che per il periodo le foglie stavano cadendo, avevo una discreta visuale. Gli alberi di bergamotto erano sotto di me e lo scenario era cambiato, ero io che ora dominavo la scena e sia io che il colombaccio potevamo competere con qualche possibilità per ognuno di noi.
Sistemato su un ramo aprii la doppietta e misi una cartuccia del n.10 in prima canna, nella seconda una cartuccia con il n.5, presi fiato e cominciai a battere le mani fragorosamente, sperando che il colombaccio partisse dal suo nascondiglio. Niente, lui si sentiva sicuro nel suo nascondiglio, protetto dalla folta vegetazione e nulla lo avrebbe persuaso a mostrarsi.
Ero deciso a fregarlo e per questo decisi di usare uno stratagemma che in alcuni casi può funzionare: sparare un colpo in aria per farlo levare in volo e sperare di averlo a tiro per poterlo abbattere con il secondo colpo, con la speranza di non cadere dall’albero (ho fatto riferimento di questo nel mio racconto(‘’due Antilopi al volo’’).
Rimisi a tracolla il fucile ed in un attimo fui a terra, ero giovane e cresciuto in campagna per cui salire e scendere da un albero era il mio pane quotidiano. In un attimo lo andai a recuperare, era lì inerme, lo presi in mano e quasi con rispetto ricomposi le penne che il piombo n.5 aveva maltrattato, e via di corsa verso casa per farlo vedere a mio padre che era intento a lavorare nella nostra campagna.
Era felice come se gli avessi regalato un tesoro, sprizzava gioia ed orgoglio da tutti i pori, e poi ancora di corsa da mio zio che era un buon cacciatore, per raccontare del mio primo colombaccio e di come lo avevo giocato. Ancora oggi rivivo la sensazione di quegli attimi e del contatto con quella preda appena presa da terra. Mia madre che stravede per il figlio maggiore era felice per me ed aveva l’abitudine di apostrofarmi con quella solita battuta: ”Ah questa caccia”.
Filippo Foti
LA LEGGENDA DEL CACCIATORE ORIONE di Armando Russo
Ecco ancora un bel regalo dal nostro carissimo Dr Armando Russo, questa volta alla scoperta per noi della leggenda di Orione, mitico cacciatore e fondatore di una delle più belle città di Sicilia, Messina.
A Messina – Piazza Duomo- vi è una bella fontana monumentale dedicata al mitico cacciatore Orione, il fondatore della città.
La fontana, opera di Montorsoli, reca infatti sulla sommità la statua di Orione e del suo cane; l’intero monumento è considerato uno dei più belli di Sicilia e su di esso, tra l´altro, vi è anche scolpita la storia di Diana ed Atteone.
Inoltre, nel Museo di Messina, vi è anche un quadro che lo raffigura con Sirio e una lepre.
Armando Russo
IL MITO DEL CACCIATORIE ORIONE
“… A lato del campanile sorge il monumentale Fonte Orione, un leggendario eroe che gli antichi messinesi ritenevano il costruttore del porto e di altre fabbriche della città. Lo si diceva venuto al tempo della civiltà Minoica, per sgominare i pirati del Mar dello Stretto, chiamato dal sicano Zanclo, re di questi luoghi, al quale era giunta fama delle sue opere realizzate altrove. La mitologia classica lo presenta sotto diverse versioni.
Cresciuto in età, Orione divenne un gigante, camminava nel mare anche dove era più profondo e con la testa toccava il cielo. Superbo ed orgoglioso, fin da giovanissimo si dedicò alla caccia e divenne un formidabile cacciatore, tanto da voler rivaleggiare con Artemide. La dea, forse perché innamorata e tradita, forse perché sfidata e vinta, e quindi offesa nella sua suscettibilità, un giorno lo colpì con una freccia e lo uccise.
Il fedele Sirio ululò per giorni accanto al cadavere di Orione, finché Zeus li trasformò entrambi in due stelle del cielo: la prima, tramontando in Autunno, annunzia piogge e bufere, la seconda invece brilla nitida e sicura nella calura delle notti estive. La scienza astronomica ha dato il suo nome ad una costellazione del cielo australe, a sud del Toro e dei Gemelli.
Una seconda versione lo vuole, invece, figlio gigante di Nettuno e di Brilla di Minos, educato da Atlante che ne fece un formidabile cacciatore ed un ottimo navigante. La sua armatura era tutta d’oro e la sua spada era fatta di metallo così fine che da lontano luccicava come saettante folgore. Nelle sue prolungate cacce era sempre accompagnato da un cane latrante, il fido Sirio e con esso, per selve e balze, senza mai riposo, inseguiva belve e cervi con astuzia e bravura.
Ma non soltanto animali Orione ambiva cacciare. Un giorno, preso da ebbrezza, si diede ad inseguire e a dardeggiare le figlie del suo benemerito educatore Atlante, le sette timide ma belle sorelle Iadi e, quando queste morirono, anche le altre loro sette sorelle Pleiadi (Maia, Elettra, Taigete, Asterope, Alcione, Celeno e Merope). Allora Zeus, da loro invocato, per sottrarle ai suoi insensati dardi, le tramutò in stelle del cielo. La scienza astronomica diede i nomi di Iadi e Pleiadi a due ammassi stellari situati nella costellazione del Toro, che dalla Terra dista solo 500 anni luce.
Zeus perciò lo punì e lo condannò a sorreggere con le mani alzate la volta celeste. Fu forse in questo tempo che Orione, sentendosi ormai al sicuro, venne in Zancle. Artemide, quando lo vide, se ne innamorò e, lo pregò di costruirle un tempio sulle rive del Peloro (dove ora c’è la chiesa di Santa Maria delle Grotte).
Lo nominò anche suo custode ed assistente di quei fidati cacciatori che, prima di intraprendere una spedizione venatoria, in ore antelucane , si recavano in quel tempio per riverire la dea e venerarla. La pace tra i due, però, non durò a lungo. Urtatasi con lui perché vinta al gioco del disco o perché tradita al gioco dell’amore, la dea lo fece mordere da uno scorpione (o lo colpì lei stessa con una freccia avvelenata). Zeus, commosso per la brutta fine di quel figlio monello, lo mutò in una costellazione del cielo.
Ma qualunque sia la vera vicenda di questo eroe, la legenda lo vuole restauratore e costruttore del porto e di molte fabbriche zanclee, sicché i messinesi, a maggior gloria della loro genesi, vollero anche ricordarlo nel marmo, per tramandare ai posteri il ricordo della loro semidivina discendenza…”
Dr Armando Russo
Federcacciatore e Giornalista
SEGUGIO MAREMMANO: PASSAGGIO DAL LIBRO APERTO (RSA) AL RSR
Testo tratto dal Sito Ufficiale dell´ENCI www.enci.it
Segugio maremmano: passaggio dal Libro aperto (RSA) al RSR
Data di pubblicazione: 31 marzo 2009
Milano, 30 marzo 2009
Il Consiglio Direttivo dell’ENCI nella riunione del 17 febbraio 2009, riscontrato il parere conforme della Commissione Tecnica Centrale del 13 novembre 2008, nel corso della quale è stato espresso parere favorevole al passaggio al Registro Supplementare Riconosciuti (RSR) della razza Segugio Maremmano, ha approvato il passaggio dal Libro Aperto (RSA) al RSR della razza in oggetto.
Il Consiglio Direttivo del 12 marzo 2009, stante la necessità di introdurre le procedure per l’attuazione di quanto disposto, ha deliberato, in analogia a quanto a suo tempo previsto per le razze italiane in via di riconoscimento, di:
* iscrivere al RSR i segugi maremmani appartenenti al RSA (senza rilasciare alcun ulteriore certificato) o le cui denuncie di cucciolata sono in arrivo dalle Delegazioni, mantenendo valido il certificato genealogico già in possesso dei proprietari;
* seguire per le iscrizioni al Libro genealogico le procedure previste dalle vigenti Norme Tecniche, contenute in particolare nell’articolo 5;
* applicare come per ogni razza iscritta al Libro, le tariffe previste per la presentazione delle denuncie presso le Delegazioni;
* assegnare alla razza segugio maremmano il numero provvisorio 900 con le varietà a) per il pelo forte, b) per il pelo raso;
* assegnare la razza al gruppo 6° Segugi e cani per pista di sangue, sezione taglia media;
* consentire al segugio maremmano la partecipazione alle prove di lavoro per segugi riconosciute dall’ENCI in base alle norme del vigente Regolamento delle verifiche zootecniche per cani da seguita;
* consentire al segugio maremmano la partecipazione alle esposizioni riconosciute dall’ENCI e di concorrere all’assegnazione del Certificato di Attitudine al Campionato Italiano (CAC) in base alle norme del vigente regolamento speciale delle esposizioni canine. La razza non potrà concorrere all’assegnazione del CACIB;
* abilitare al giudizio gli esperti giudici a suo tempo incaricati a valutare i soggetti nell’ambito dei raduni per l’accesso al Libro Aperto (Albani Athos, Gramignoli Giuseppe, Maremmi Gianpaolo, Minelli Giuseppe, Mozzi Giuseppe, Quadri Mario, Quinzanini Giuseppe), nonché gli esperti giudici che hanno l’abilitazione all’intero gruppo 6°, taluni già ricompresi tra i giudici incaricati di cui sopra.
CONOSCERE IL SEGUGIO MAREMMANO di Sergio Leonardi
Guida alle caratteristiche di una razza in rapida diffusione
Il mio non vuole essere un libro sui Segugi, ma il manuale del segugio Maremmano, rivolto a tutti coloro che non lo conoscono e che intendono avvicinarsi e vogliono saperne di più su questo cane che, per tradizione, è compagno a tante avventure cinofile di generazioni di cacciatori, Maremmani e Toscani.
Il suo uso si sta diffondendo in altre regioni italiane, con il confronto di terreni, climi, selvatici e mentalità diverse da quelle che da sempre sono state impartite ai suoi progenitori e che geneticamente si riscontrano nei suoi allevati; pertanto ritengo doveroso che chi si avvicina a questo ausiliare, la cui specializzazione è il cinghiale, specie se neofita, debba necessariamente essere a conoscenza di ciò che ha in mano.
La mia volontà è quella di trasmettere nozioni dei regolamenti e dei criteri di giudizio inerenti alle prove di lavoro, al fine di dare al concorrente e al cacciatore una base conoscitiva per poter meglio condurre e interpretare il lavoro dei cani.
La caccia, una volta esercitata per fini di necessità, è oggi un insieme di tante altre cose, è spesso troppo malvista, inutile citare, ma ritengo sia fondamentale mantenerne le tradizioni e la cultura cinofile impartiteci dai nostri predecessori…”
Sergio Leonardi
Indice
Capitolo 1 – Le origini
Capitolo 2 – Dori venatorie
Capitolo 3– La leggenda
Capitolo 4 – Il riconoscimento ufficiale
Capitolo 5 – Lo Standard morfologico
Capitolo 6 – Nozioni di zoognostica applicata
Capitolo 7 – Lo Standard di lavoro
Capitolo 8 – Il maremmano oltre i suoi confini
Capitolo 9 – Le prove o verifiche Zootecniche
Capitolo 10 – Il primo scorso (nelle ferite)
Capitolo 11 – I risultati
Per maggiori informazioni in merito all’acquisto del libro: Sergio Leonardi
Via G. Carducci 12
Rosignano Solvay
57016 (LI)
Cell.
Fax 0586-761192
E-mail: sergiole@alice.it
www.maremmanoesegugi.it
ARS VENANDI: PREMIAZIONE DEL CONCORSO LETTERARIO EUROPEO
Comunicato Stampa del 25 marzo 2008
Sabato a Riva premiazione dei racconti in italiano, tedesco, francese, ladino e friulano.
Il ricordo di Mario Rigoni Stern, compianto presidente della Giuria
Sabato 28 marzo, alle ore 17.30, presso il Palafiere di Riva del Garda si svolgerà la cerimonia di premiazione del Concorso “Giacomo Rosini”, organizzato da Ars Venandi in collaborazione con la Federazione Italiana della Caccia e l’Associazione Cacciatori Trentini, con il patrocinio della Regione Autonoma Trentino Alto Adige/Südtirol, della Provincia Autonoma di Trento e dell’Unione Nazionale Cacciatori Zona Alpi.
L’importante novità di quest’anno è che il Circolo “Ars Venandi” ha dato respiro internazionale al concorso, aprendolo a scritti in tutte le lingue parlate nell´arco alpino. Così la giuria, opportunamente allargata a giornalisti e scrittori di tutti i paesi alpini, ha valutato i racconti composti, oltre che in italiano, anche in tedesco, francese, ladino e friulano.
Le vicende degli uomini e delle donne in montagna, il loro rapporto con la natura, gli animali e la caccia sono i temi sui quali si sono espressi i partecipanti, promuovendo da quest’anno un dialogo fra autori ed autrici di lingue madri diverse, uniti dalla sensibilità verso l´ambiente naturale e la sua conservazione.
L’innovativa impostazione europea apre inediti e stimolanti orizzonti al Concorso “Giacomo Rosini”, una manifestazione nata come occasione di confronto e dialogo più che di competizione, seppur con un doveroso riconoscimento per le narrazioni più avvincenti e per il talento letterario di chi le scrive.
La cerimonia si aprirà con un ricordo di Mario Rigoni Stern, compianto presidente della Giuria e proseguirà con la lettura di brani dei racconti vincitori con l’intermezzo musicale del gruppo Jupiter Brass.
Per ulteriori informazioni:
Osvaldo Dongilli
Presidente del Circolo Ars Venandi
Tel. 335 5440083
CHE BAGNO!! di Riccardo Turi
Il mio amico Giammario (Beghelli) ha alcune quote societarie dell´azienda “Ittica Val d´Agri” in quel di Policoro.
Oltre all´allevamento del pesce in apposite vasche, c´è una residua zona paludosa che via via negli anni è andata sempre più ritirandosi. Si possono trovare un pò di folaghe ma la caccia “bianca” è sempre piuttosto scarsa.
E infatti il 30.11.1986 avevamo preso 4 anatre e circa 60 folaghe.
Una telefonata di Romano, un napoletano che organizza la caccia, ci chiama per domenica 6 dicembre 1987; al telefono ci dice che si è vista un pò di caccia bianca.
Per tempo partiamo da Bari con l´Alfa 33 SW di Beghelli e dopo circa un´ora e venti siamo sul posto verso le 5,30.
Un saluto al direttore dell´azienda, a Romano e agli altri cacciatori presenti e ci viene assegnata la stessa vasca del novembre dell´anno prima, solo che l´appostamento è dal lato opposto della vasca.
Siamo in agitazione perchè pare ci siano un discreto numero di anatre tra fischioni e moriglioni. L´elemento negativo è costituito dalla pioggia: piove discretamente e non accenna a diminuire. Conosciamo la strada e ci avviamo all´appostamento: sono due piccole botti di cemento affiancate in una vasca con un pò di vegetazione ed un discreto chiaro.
Rapida posa degli stampi nell´acqua e ci infiliamo nelle botti io a destra e Beghelli che è mancino a sinistra. All´alba manca ancora una buona mezzora ma noi siamo già pronti mentre continua a piovere; una pioggerellina sottile, di quelle che sembra non debbano finire mai. Comincia ad albeggiare e vediamo subito un discreto movimento di selvaggina che però non ne vuola sapere alla tesa.
Improvvisamente si materializza sugli stampi una coppia di fischioni che viene “stracciata” con 3 o 4 colpi di entrambi. Abbiamo fatto dei bei tiri perchè i due fischioni ci avevano sorpresi. Neanche il tempo di ricaricare ed ecco un morglione che viene anch´esso abbattuto con un bel tiro.
La giornata si preannuncia felice con un solo inconveniente: la pioggia! Continuiamo a vedere uccelli per aria ed abbiamo modo di tirare a qualche folaga che incautamente si avvicina all´appostamento:il carniere si impingua.
Per la cronaca spariamo cartucce corazzate di MB Baschieri & Pellagri del numero 6.Ecco ancora 3 moriglioni che dopo un ampio giro sembra vogliano venire sugli stampi.
Sono quasi nel tiro quando ci alziamo e facciamo tripletta: il terzo cade però nella vasca accanto alla nostra occupata da un altro cacciatore; non ne sapremo più niente! Siamo arrivati quasi alle 9 e nel carniere abbiamo aggiunto una femmina di codone ed altre 4 o 5 folaghe. Il movimento della selvaggina è scemato, tuttavia sarebbe opportuno rimanere ancora. Purtroppo però la pioggia non ci ha dato tregua e, nonostante le mantelle impermeabili io sono bagnato da capo a piedi e Beghelli altrettanto.
Per evitare di buscarci una polmonite decidiamo di uscire, sia pure a malincuore. Abbiamo preso 6 anatre (7 con quella caduta nell´altra vasca) e precisamente 3 moriglioni, due fischioni, un codone e 8 folaghe. Quando finalmente siamo al coperto ci spogliamo degli abiti bagnati che cerchiamo di far asciugare vicino ad un radiatore e commentiamo positivamente la giornata di caccia che comunque ricorderemo più per il “bagno” davvero incredibile.
Riccardo Turi
FALCONERIA: GLI STRUMENTI, COSI´ ANTICHI..COSI´ MODERNI di Pietro Pottino, Allevamento Sparacia
Abbiamo fino ad ora parlato della falconeria cercando di toccare argomenti di introduzione, o forse di approccio, a qualcosa di completamente sconosciuto.
Un mondo sommerso pieno di tanti misteri che avvolgono un’affascinante arte.
Se ci addentriamo un po’nella tecnicità della cosa, scopriremo una serie di attrezzature antichissime che sono tuttora moderne e praticamente insostituibili.
Semplicemente lo si trattiene tramite due laccetti di cuoio a loro volta attaccati ai tarsi dell’uccello. Si chiamano geti. Vengono applicati tramite un semplice, ma antico nodo al tarso dell’animale.
Il rapace normalmente viene posato sul blocco per gran parte della giornata, e assicurato ad esso tramite la lunga (un cordino), la quale collega i geti, attraverso la girella o tornetto, al blocco.
Naturalmente questi “attrezzi”, detti equipaggiamento del falco, sono di diversi tipi e ampiamente visibili nei siti di falconeria.
Non dobbiamo dimenticare il cappuccio.
Serve a impedire che il rapace venga infastidito o intimorito da qualcosa o da qualcuno. Il cappuccio copre completamente la vista in modo da farlo stare tranquillo.
E’ difficilissimo trovare un falco abituato alle cose del nostro mondo e sarebbe quasi una violenza pretendere di farlo.
Ne esistono diversi tipi, soprattutto diversi in relazione alle le loro origini.
Quelli più usati sono gli arabi e gli indiani.
Il cappuccio arabo solitamente è meglio modellato, avvolge cioè la testa in modo più completo.
L’indiano va secondo me meglio per falchi giovani, non ancora abituati, in quanto si toglie e si mette con più rapidità e facilità. Ma, naturalmente, sono opinioni mie del tutto personali.
Armare un falco significa prepararlo al volo o alla caccia. Solitamente ciò consiste nell’applicare la trasmittente e togliere la girella.
Poi vi è l’equipaggiamento che riguarda esclusivamente il falconiere fatto da: guanto, borsa, logoro.
Il guanto è di pelle (ve ne sono diversi tipi) corto, medio o lungo. Solitamente un guanto corto di buona pelle (quella che io consiglio è di cervo) va bene per un falcone di media taglia, mentre uno medio si addice per un astore.
La borsa serve per portare con sé l’occorrente, cioè il logoro, un po’ di carne e spesso un uccello vivo che può servire sia all’addestramento iniziale sia per una improvvisa necessità al richiamo, sia perché alcune volte un falco sovra peso non risponde bene al logoro.
Il logoro non è altro che una sagoma di cuoio a forma di uccello, sulla quale viene attaccata della carne, e possiamo certamente dire che è l’attrezzo principale utilizzato nell’addestramento.
E’, in pratica, il mezzo più efficace per il richiamo e per la preparazione muscolare.
Quando inizia l’addestramento il falco viene fatto mangiare sul logoro. In seguito, essendo per lui il piatto sul quale mangia, diventa importante e indispensabile per acchiapparlo o, meglio, ghermirlo; per far ciò il falconiere inizia a roteare la sagoma, togliendola di scatto alcuni attimi prima che l’uccello in volo possa prenderla.
Questo esercizio non fa altro che accentuare l’istinto di predazione e favorire una buona e corretta preparazione muscolare, indispensabile a futuri inseguimenti, spesso estenuanti e faticosissimi.
Come ben sappiamo esistono ormai in commercio svariati tipi di attrezzature più o meno utili, costose, meno costose, alla moda o meno. Io ho semplicemente indicato quelle essenziali, senza le quali fare falconeria è impossibile.
Auguro a tutti coloro che amano la natura di potere entrare in contatto con una delle cose più belle che essa stessa ha creato.
Pietro Pottino
Allevatore, addestratore e selezionatore
Rapaci da Falconeria “Sparacia”
www.allevamentosparacia.com
rapax@neomedia.it
ARMI E TIRO DI APRILE
L’attualità di Armi e Tiro (aprile 2009)
Le novità dall’Europa e le “ronde” del pacchetto sicurezza
Il clou del numero di aprile di Armi e Tiro è rappresentato dal reportage sulla fiera Iwa di Norimberga: 28 pagine per conoscere le novità e le strategie del mercato per combattere la crisi. A pagina 56, l´attualità tiene banco con il recente decreto che ha istituito le cosiddette “ronde” di cittadini. Levata di scudi da parte delle forze di polizia e di alcuni amministratori locali, ma a Bologna esistono da oltre un secolo…
Per gli amanti della tecnica, un interessante articolo di Paolo N. Sinha sull’angolo di sito, in attesa di leggere il suo libro “La traiettoria perfetta – Manuale di balistica rapida per selecontrollori”.
Le prove di Armi e Tiro si aprono con il nuovissimo sovrapposto Fabarm Elos Al B calibro 12: essere low cost non vuol dire rinunciare a qualcosa. Sempre per gli appassionati di canna liscia, la doppietta Fratelli Poli Sapphire calibro 20 con bascula round body. La pistola Sig Sauer Sp 2022 calibro 9 mm è stata adottata dalla gendarmeria francese: scopriamo insieme tutte le sue qualità. Allestimento aggressivo e moderno per il revolver di punta Smith & Wesson, il modello 686 calibro .357 magnum provato in versione Ssr.
Tre armi a canna rigata per tre mondi differenti: la bolt-action custom Nosler 48 Sporter calibro .300 Winchester magnum, la monocolpo basculante Thompson center Encore Katahdin Pro hunter calibro .500 Smith & Wesson e la semiauto Olympic arms K3B accessoriata che di più non si può. Debutto sul mercato italiano per la carabina ad aria compressa del gruppo Beretta, la Stoeger X20 calibro 4,5 mm.
Il PALLINO PER IL PERCORSO DI CACCIA
In questo articolo porremo l’attenzione sull´utilizzo delle varie dimensioni di pallino per il Compak Sporting, attività meglio conosciuta come “Percorso di Caccia”.
L´argomento è di sicuro interesse in quanto sempre un numero maggiore di appassionati (tiratori e cacciatori) si avvicinano a questa disciplina.
I tiratori, anche specialisti di altre discipline, si cimentano volentieri nel Percorso di Caccia perché consente loro di allentare un attimo la concentrazione degli allenamenti mentre i cacciatori si avvicinano a questo sport sia per riunirsi in momenti di socialità che per soddisfare un po’ la voglia di sparare nei periodi di caccia chiusa.
Affrontare questa specialità del tiro a volo significa curare due aspetti:
* mantenere la giusta concentrazione e i giusti tempi di reazione, in quanto il piattello parte da posizioni diverse, riproponendo lo scenario del territorio di caccia;
* mantenere e, addirittura, migliorare la mira con un esercizio il più continuo possibile durante tutto l´anno.
Nel percorso di caccia, poi, si spara sia da distanze estremamente ridotte che molto considerevoli, fino quasi al limite della “portata utile” del fucile e, quindi, per quanto riguarda la mira non c´è allenamento più proficuo.
Nel percorso di caccia il risultato lo si ottiene colpendo e frantumando il piattello, perciò, nella carica della cartuccia da utilizzare, è fondamentale tener sempre conto di parametri base che riguardano per lo più la grammatura del pallino.
Infatti, esso può colpire tramite ampia rosata il piattello anche in più punti senza frantumarlo; al contrario, in altri casi, il bersaglio può andare incontro a completa frantumazione pur essendo colpito solo da pochi pallini.
Ovviamente le case produttrici di munizionamento per questa pratica sportiva hanno tenuto conto di tutto ciò, svolgendo approfondite prove sul campo prima di concepire e mettere in commercio le varie cartucce con caratteristiche tecniche adeguate all´utilizzo più performante.
I punti fermi da cui partire per dedicarsi con successo al Compak Sporting sono:
* disporre di fucile con adeguata cartuccia, che permetta un´uscita del pallino dalla canna ad una velocità che oscilli fra i 400 ed i 415 mt/s
*disporre di una prima canna dotata di strozzatore che oscilli fra i “quattro/cinque decimi di restringimento”;
* disporre di una seconda canna con strozzatura adeguata a sparare con successo a distanze maggiori, visto che trattasi del colpo che deve sanare una brutta figura;
* utilizzo di cartucce sempre dotate di “borra contenitore”.
La regola generale è che, ovviamente, il piattello tende a rendersi disintegrabile in maniera tanto più evidente quanto più ampia è la rosata di pallini che lo colpisce e maggiore è la velocità residua con cui avviene l´impatto.
Il pallino utilizzato nel Compak Sporting rispetta due parametri ben definiti:
* cariche che oscillano tra i 28 ed i 30 grammi;
* calibro degli stessi che varia da un massimo di 7,5 ad un minimo di 9.
Per arrivare ad ottenere una cartuccia efficace bisogna innanzitutto stabilire il “punto di non rottura” cioè la distanza a cui la rosata, pur raggiungendo il piattello, ne provoca la foratura ma non la frantumazione. Esso è determinato dalle crepe che il pallino genera all´impatto con il piattello, oltre al foro che lo stesso provoca.
Le varie case costruttrici che effettuano le prove hanno riscontrato, nel tempo, che per un piattello classico delle dimensioni standard di 110 mm la soglia di “non rottura” oscilla tra i 30 ed i 33 mt utilizzando un pallino da 9,5.
Tale distanza raggiunge anche i 38 mt con pallini di calibro maggiore a 7,5.
Quindi la prima considerazione da fare è che un pallino di maggior dimensioni produce fratture molto più evidenti rispetto a quello di dimensioni inferiori.
Teoricamente, se dispongo di un pallino più piccolo che mantiene una rosata più ristretta, ho la possibilità di centrare il piattello con un numero di pallini maggiore ed aumentare quindi la distanza utile prima di raggiungere il punto di non rottura; in realtà avviene il contrario.
Infatti, data una determinata distanza utile di tiro, il pallino di dimensione maggiore ha, rispetto ad uno più piccolo (es. un 7,5 parametrato ad un 9), una velocità maggiore di quasi 20 mt/secondo ed una quantità di energia residua di quasi il doppio durante l´arco del tragitto.
Conseguenza ne è che, malgrado la rosata che colpirà il piattello sarà di diametro inferiore, il maggiore diametro del singolo pallino, unito alla sua maggiore velocità e maggiore energia residua, all´impatto con il piattello genererà nello stesso crepe tali da provocarne l´immediata frantumazione.
Studiando molti grafici elaborati dai maggiori produttori di cartucce per il Compak Sporting, si ha la possibilità di verificare come la velocità ed energia residua del pallino di calibro maggiore tendano, nell´arco della distanza utile di tiro, a generare una forbice in termini di presatzioni assolute che tende ad essere sempre più ampia lungo il suo percorso rispetto al pallino di diametro inferiore.
Per concludere, non posso non citare, ancora una volta con orgoglio nazionalistico, come l´Italia è tutt´ora leader a livello mondiale come costruttore di cartucce per questo tipo di attività sportiva; basti pensare a nostre rinomate aziende come la Baschieri & Pellagri, la Fiocchi e la Nobel Sport che producono munizionamenti assolutamente non inferiori, in termini di qualità assoluta, a colossi come la Winchester ed altre non meno illustri e conosciute.
Alessio Ceccarelli
Cacciainfiera.it
BLINDATE E MONOLITICHE (3° Parte): RISULTATI DEL TEST DI VALUTAZIONE DELLE DIFFERENZE di Haley & Leonetti
Le prove hanno inizio; il primo colpo è con la blindata Woodleigh.
In primo luogo è importante che il colpo sia esattamente in linea, in modo che il proiettile non impatti l’osso con un angolo di incidenza diverso da 90 gradi, e in secondo luogo mi chiedo se lo spessore dei libri è adeguato alla penetrazione.
Ci sono abbastanza elenchi telefonici?
La struttura di sostegno è adeguata?
Ho sparato. Il proiettile ha colpito il posto giusto, io sono ancora vivo e la struttura che contiene il “sandwich di elefante ” è ancora intatta. La prestazione del proiettile è stata a dir poco brillante.
Il Woodleigh ha penetrato l´osso, tutti i libri del telefono e si è arrestato dentro la seconda tavola di pino, per un totale di 82 centimetri di penetrazione!
Ora è la volta della A-Square.
Mi aspetto una penetrazione ridotta per questo proiettile leggero e meno denso. Sono andato alla ricerca del proiettile nei libri dietro l´osso. Non c’è, è andato oltre. Ho guardato oltre i libri. No, è andato oltre. Ho guardato nel primo blocco di pino. E’ andato oltre.
Indovinate dov’è?
Nella seconda metà della tavole di pino, per un totale di 82 centimetri di penetrazione …!
Assolutamente identiche prestazioni alla Woodleigh!
Segue la Speer African Grande Slam.
Ho iniziato cercando nella seconda tavola di pino.
E’ lì; penetrazione totale ancora 82 cm!
E’ stata la volta della palla monolitica da 500 grani Barnes, questa passa attraverso la seconda e si ferma nella terza tavola. La penetrazione totale è di 3 cm superiore alle altre, ma il dato non viene considerato particolarmente significativo.
Vengono sparati ulteriore colpi di conferma e sostanzialmente è confermata la prima serie di risultati. Quindi, non c’è differenza tra i diversi proiettili, e la maggiore velocità dei proiettili monolitici, compensata dal peso ridotto, li rende quasi identici ai blindati convenzionali nel calibro .458 nel mezzo di prova (che a mio modo di vedere è abbastanza vicino al corpo di un elefante).
Di particolare interesse è la condizione dei proiettili recuperati.
Questo non pregiudica la loro penetrazione, mi affretto ad aggiungere, e non è necessariamente un fattore negativo; dopo tutto, essi sono stati spinti ad una velocità maggiore di quella prevista. Si è anche notato che la Barnes monolitica non ha subito alcuna deformazione.
Ciò pone una serie di quesiti; è del tutto evidente da questi test che ogni proiettile si può deformare in queste condizioni una volta che una certa velocità è stata raggiunta.
Inoltre, non vi è un livello di velocità che compromette il livello di penetrazione.
Ovviamente, ogni palla avrà una propria specifica, quando viene raggiunto questo livello, e necessita di una nuova serie di test per studiare questo fenomeno.
Attenzione: questo è importante sapere.
In questi test che ho effettuato, i limiti della velocità di deformazione della palla A-Square sono stati superati, ma questo non è sufficiente, a mio parere, a compromettere la penetrazione. A che velocità può essere spinta questa palla prima che questo accada? Solo ulteriori test possono rivelarlo.
Cosa è successo alla vecchia cartuccia con palla solida, spinta a soli 1950 fps?
Beh, questo è stato ancora più interessante, ed ha validato la bontà del “sandwich di elefante” come mezzo di prova. E’ stata cronografata la velocità di 1950 fps; questa palla ha dato assolutamente la tipica prestazione che è stata commentata a lungo dai Parchi Nazionali e dai controlli ufficiali Tsetse di anni fa.
Il proiettile ha penetrato l´osso, ma poi si è fermato, per un totale di penetrazione pari alla metà di quella di altri: in tutto 41 centimetri.
Veramente una cartuccia da “congedo per malattia“.
Questa palla ha penetrato l’osso, ma non ha avuto energia sufficiente a penetrare i tessuti e gli organi vitali successivi. Se l´animale in questione era irato prima, lo sarà sicuramente dopo il colpo, e metterà in serie difficoltà il cacciatore. Questo dimostra quanto le nuove palle blindate hanno uno stato avanzato di progettazione e costruzione.
Sì, lo so, le cartucce da .458 sono costose in questa parte del mondo. Sì, lo so che anche i proiettili “Premium” sono costosi.
Stampatevi bene nella mente e scrivetelo nel vostro cuore: LA BUONA QUALITA’ DELLA CARTUCCIA, ED IN PARTICOLARE QUELLA DELLA PALLA, NEL DANGEROUS GAME VALGONO PIU’ DEL LORO PESO IN ORO!
Non sto scherzando. La mia preferita, la Speer African Grand Slam con il cuore in tungsteno deve avere un costo superiore a 200 euro; solo per il proiettile.
Woodleighs più di 100 euro.
Vi sembra molto? Avete controllato di recente il costo delle bare?
Io confesso di avere appreso molto da queste prove, e speriamo che il lettore farà altrettanto. Molto è stato scoperto, anche se resta ancora molto da scoprire ma, sulle prestazioni dei proiettili Woodleigh, Speer, A-Square o Barnes mi gioco la mia vita!
Haley & Leonetti
QUEL MALEDETTO GIORNO A MESAGNE di Riccardo Turi
Nell´autunno del 1961 sono passati quasi 2 anni da quando ho cominciato ad andare a caccia con il fucile Beretta cal.28 ad 1 colpo. Ho 14 anni, compiuti a febbraio, e quindi durante la settimana vado a scuola; per la precisione frequento il 5° ginnasio, sezione D, presso il Liceo Classico “Tito Livio” di Martina Franca.
Da Fasano, dove abito, mi alzo ogni mattina alle 6,30 per prendere il pulman per Martina alle 7,15. A caccia vado il pomeriggio tutte le volte che mio zio ci va e la domenica mattina. Se nella nostra zona non ci sono tordi il raggio d´azione si sposta nel brindisino e nel leccese.
E´ una domenica d´autunno e, con la Alfa Romeo Giulietta TI bianca di zio Franco targata BA 60545, siamo in 5 diretti nella zona di Mesagne.
Con me e zio Franco ci sono Stefano, armiere, e i due fratelli Sante, comandante dei VVUU di Fasano e Vito.
E´ già da un pò di tempo che non vado più attaccato allo zio ma sono abbastanza autonomo, anche se lui mi raccomanda sempre di tenere gli occhi aperti. Come sempre succedeva quando ci allontanavamo dalle nostre zone, di tordi se ne vedevano pochissimi.
Anche quella mattina non fa eccezione ed infatti verso le 9 siamo alla macchina: manca solo Stefano che ancora non si ritira. Io ho appesi al laccio 3 fringuelli ed 1 tordo e sono nella stradina a breve distanza dalla macchina. Il solo zio Franco ha già riposto fucile e cartucce. Improvvisamente arriva una macchina che si ferma proprio vicino a me; ne scendono 2 persone che mi chiedono il porto d´armi e alla mia risposta negativa mi tolgono il fucile e si prendono anche quelle poche prede.
Avevo solo 14 anni e, interrogato, declinai le mie generalità complete. Dopo di che i due si avvicinano alla macchina dove c´erano gli altri tranne Stefano che ancora non arrivava. Solita richiesta di porto d´armi e si scopre che Sante aveva il suo scaduto! Anche a lui sequestro del fucile.
Alla richiesta di porto d´armi zio Franco, che aveva già riposto tutto, risponde a parolacce inviperito con me perchè avevo dato le mie generalità. Naturalmente i due non insistettero più di tanto dato che lo zio non aveva in mano il fucile.
Insomma una giornata di caccia piuttosto insoddisfacente si trasformò in dramma per me e per Sante. E´ chiaro che tutti gli improperi andavano a Stefano, reo con il suo ritardo di aver causato tutto quel pandemonio. So soltanto che si fece il processo a mio carico, al quale presenziò l´avvocato, che si concluse con la non menzione dato che ero minorenne, ma con la confisca dell´arma che non vidi più.
E dopo qualche mese quel pazzo di mio padre mi comprò un Beretta sovrapposto S55 cal.20 che ignoro a chi fu intestato. Aspettai più di un anno, sino al febbraio 1963 quando ottenni la mia prima licenza, cacciando da bracconiere ma non con lo zio.
La disavventura fu presto dimenticata e soltanto quando feci il servizio militare in areonautica e con il mio maresciallo andai a Napoli al Comiliter a preparare il nuovo contingente che potei esaminare la mia scheda personale dove risultava che nel ´61 ero stato trovato con il fucile senza licenza.
Riccardo Turi